La mostra FIGURE SONORE, di cui abbiamo parlato recentemente, vede la rappresentazione del tema dell’ascolto attraverso sette opere di talentuosi artisti scelti da una giuria di selezione composta da professionisti del settore. In qualità di partner etico, noi di Altro Spazio li abbiamo intervistati per voi, per farci raccontare chi sono e la loro opera. Siamo pronti ad ascoltarli?
La terza artista che vi vogliamo far conoscere è Annamaria Nicolussi Principe e la sua opera “Nido-Trappola”
Ciao Annamaria, raccontaci brevemente chi sei e qual è stato il tuo percorso artistico.
«Mi chiamo Annamaria, disegno da sempre e dipingo da una decina d’anni (anche se al momento sono in pausa da due, suppergiù) e da un paio mi cimento con la fotografia. Ho studiato al liceo artistico di Trento, la città in cui sono nata e ho vissuto i primi diciotto anni della mia vita. Ho conseguito la laurea triennale in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Al momento frequento il biennio di Decorazione – Arte Pubblica all’Accademia Albertina di Torino».
Perché hai deciso di partecipare a FIGURE SONORE.
«Ho partecipato perché leggendo il nome mi ha incuriosita la sinestesia espressa da “Figure sonore”. L’idea che un’immagine potesse essere un suono o addirittura che potesse essere ascoltata, così come si fa con un brano musicale o un libro. Poi leggendo il bando per partecipare ho cominciato a riflettere alle domande che ponevano, e in effetti mi ci sono ritrovata. La prima domanda era “Che cosa vuol dire per te -essere ascoltato-?” e per me vuole dire creare un dialogo, allo stesso modo un’opera d’arte crea un dialogo con chi la fruisce, quindi mi ha appassionato l’idea di ascoltare guardando o l’idea di poter guardare ascoltando».
In FIGURE SONORE si parla soprattutto di interazione con l’osservatore e di ascolto quindi ti chiediamo di raccontare, quindi a parole, la tua opera a chi non l’ha mai vista.
«È un campo di forze in atto, segni neri che si sovrappongono su un foglio bianco e da cui emergono a tratti delle figure aggrovigliate. È difficile coglierne ogni dettagli senza perdere quelli colti in precedenza. Poi, avvicinandosi, entra in gioco anche la porosità della carta, il modo di graffiare la superficie da parte del carboncino e la viscosità del pastello ad olio. Sono tutte informazioni in più, che creano “rumore” e distolgono l’attenzione, distraggono dal soggetto reale, dalle figure disegnate».
La tua opera si chiama NIDO-TRAPPOLA, un titolo molto particolare perché se noi pensiamo a un nido, pensiamo a qualcosa di sicuro e che ci protegge, mentre il termine trappola ci fa pensare a qualcosa che non ci lascia via d’uscita e da sui dovremmo scappare. Volevamo sapere cosa vuol dire per te NIDO-TRAPPOLA e come sei arrivata a questo titolo.
«Il titolo non mi è venuto in mente da subito, però quando lo ho trovato ho pensato riassumesse perfettamente le sensazioni da cui sono nati i primi disegni riguardanti i medesimi soggetti. Infatti, la prima serie dei nidi ha qualche anno, ed è in formato decisamente più piccolo. È nata dall’insieme di pulsioni diverse: la mia passione per il disegno e la mia incapacità di comunicare. Sembra strano eppure l’una e l’altra cosa sono per me equivalenti, ma la differenza tra loro è che disegnare è come respirare mentre parlare significa legarsi le mani. Non voglio parlare dell’impossibilità della comunicazione da parte del linguaggio, non è ciò che riguarda i miei disegni. Intendo solo dire che parlare è molto difficile, disegnare trasmette qualcosa “di più” a livello emotivo, che può essere inteso dagli altri in misura maggiore o minore, non ha importanza il modo. Quindi, credo che sia in tal senso che sono dei nidi e delle trappole, sono nati come possibilità di dialogo, ma sono sfuggenti, tentano lo sguardo grazie al loro carattere elusivo e quando meno te lo aspetti ti intrappolano, come le parole».
Tra gli organizzatori di FIGURE SONORE c’è Co-Psy Collaborative Psycare, una realtà importante per il sostegno alle persone. Al di là dell’asta di cui ricordiamo una parte del ricavato andrà a loro, e che quindi speriamo porti buoni frutti, cosa secondo te l’arte oggi può fare per le persone, per tutti noi.
«A mio avviso l’arte ha lo scopo di veicolare un messaggio, che può avere varia natura ma in ogni caso spinge a riflettere chi ci entra in contatto. È una visione un po’ idealizzata, considerando le dinamiche che riguardano il mondo dell’arte e il suo mercato, però se smettiamo di pensare allora non ci resterà più nulla per cui andare avanti. Sono dell’idea che l’arte, come espressione di una società e di un’epoca, sia monito per il futuro; che non va vissuto in modo angosciante ma come tentativo di rispondere alle domande “Che cosa posso fare io?” o “Dove mi colloco?”. Tuttavia, ci sono diversi modi di fare arte e non esiste solo l’impegno sociale, perché comunque si parla di qualcosa di bello con cui confrontarsi o di qualcosa per cui si prova empatia o ancora: stupore. Io credo che il modo migliore per amare l’arte sia scoprire cosa ci sta dietro. Perciò, quello che può fare l’arte oggi per le persone, è non smettere mai di porre domande a cui cercare di dare risposta, senza verità assolute e universali».