Nazareno Biondo è uno scultore moderno ma che rispetta la materia e i grandi maestri del passato. Rappresenta l’epoca in cui vive attraverso oggetti e scarti di uso comune.
Ciao Nazareno, raccontaci un po’ chi sei.
«Il mio cognome è Biondo e sono nato in un paese, vicino a Torino, noto per il ponte del diavolo. Mio padre è di Palermo, ma io vivo e lavoro alle porte di Torino.
Raccontarvi chi sono è complicato perché io credo che in fondo nessuno sappia chi è veramente. La mia parte fisica è del 1985 mentre quello che porto dentro è molto antico, intorno ai 2000 anni o più.
Ho passato un’infanzia burrascosa, scoprendo molte volte il dolore fisico; mia madre era sempre con il cuore in gola perché non ho mai avuto il senso del pericolo, meglio non elencarvi la serie di fratture ossee e punti di sutura ed operazioni che ho subito fino ad un età adulta.
Ma sono stato sempre positivo, rassicurando tutti.
Poi finalmente scopro o riscopro il marmo, il mio essere comincia a stabilizzarsi e le emozioni diventano sempre più grandi e si liberano nei giusti canali».
Il tuo percorso di studi dimostra che hai sempre avuto le idee chiare su quello che volevi fare.
«Avevo le idee chiare già da bambino. Quando le persone mi chiedevano cosa avrei voluto da fare, rispondevo liceo artistico e Accademia delle Belle Arti che ho frequentato a Torino. Forse non immaginavo ancora di lavorare il marmo, ma in fondo già lo sapevo. Parallelamente agli studi ho cominciato a lavorare a 15 anni. Ci sono voluti molti sacrifici ma avevo uno stipendio mensile che dopo 12 anni mi ha permesso di aprire il mio laboratorio. Non so bene come ho fatto, ed ora mi rendo conto che faceva tutto parte di una grande visione».
Tu sei uno scultore, cosa vuol dire per te essere “un artista che si sporca le mani” in un’era fortemente legata al digitale.
«Per me questo significa avere rispetto per la materia, per il pensiero e per tutti i grandi maestri del passato. Io credo che la fatica, le emozioni e il sudore che ci va per realizzare un’opera, sia essenziale perché il messaggio sia impresso e possa viaggiare nel tempo attraverso questo materiale magico.
Inoltre sono convinto che il marmo assorba i sentimenti, incorporandoli. Ed io sono una persona molto sensibile.
Mi piacerebbe realizzare un’opera con le mie mani, trasformarla in un file 3D digitale NFT e sotterrarla in qualche posto sconosciuto donandola al pianeta o a chi la ritroverà. Non mi va di esprimermi sull’uso della tecnologia che scolpisce in 3D, sono ancora confuso al riguardo».
Le tue opere rappresentano oggetti diciamo di uso quotidiano, come mai questa scelta e cosa vuoi raccontare attraverso di loro.
«Dato che gli scultori del passato erano ossessionati dalla figura umana, ho deciso di rappresentare l’uomo e i suoi stati d’animo, attraverso i vizi, i consumi e gli sprechi della società contemporanea. Il tempo è una costante, impresso su di oggetti di uso comune, scarti del quotidiano come mozziconi di sigaretta o lattine schiacciate, rappresentati in grandi dimensioni. Resi eterni dal materiale nobile in cui vengono scolpiti, il marmo di Carrara. I miei lavori sono la metafora di uno stato d’animo collettivo, rappresentano una sensazione comune diffusa tra gli individui della società contemporanea, ovvero il sentirsi usati, per precisi scopi, per poi esser scartati e abbandonati. Rappresento la nostra epoca così com’é, ed ha volte risulta scomoda. Non a caso la prima volta che ho esposto a NY hanno censurato le mie opere nel video ufficiale dell’evento. Sicuramente la scelta dei soggetti fa sempre molto riflettere, a primo impatto può risultare ironica, ma forse questa volontà di mostrare un determinato tipo di soggetti è spinta dal voler esorcizzare qualcosa e vedere dei cambiamenti. Intanto sto documentando attraverso un materiale che resterà nel tempo. I soggetti che scelgo sono immagini che mi hanno scioccato o colpito in modo indelebile nel bene e nel male. Da un blocco di marmo bianco di 15 tonnellate, tra scalpello e dischi diamantati, sto intagliando una vecchia FIAT 500, per me il simbolo di un luogo e soprattutto di un tempo in cui il destino della mia generazione si poteva ancora scegliere. I segni degli anni trascorsi saranno ben visibili, come testimonianza dei sacrifici compiuti in quei tempi dai nostri cari e che continuano a ripetersi nel tempo, generazione dopo generazione. L’opera risulterà cava al suo interno, togliendo una portiera entrerò dentro il blocco per svuotarla da tutti i suoi valori. La riflessione sulla quotidianità e sulla cultura di massa occidentale è una costante imprescindibile delle mie opere.
Se bisogna riuscire a comunicare qualcosa attraverso l’arte, e più precisamente attraverso la scultura, allora scelgo, con occhio critico, di sottolineare quanto sia importante abbandonare la cultura dello spreco in favore a quella del riutilizzo. Ed è per questo motivo che uso gli scarti delle grandi sculture per ricavare la rappresentazione di beni di lusso come mazzette e lingotti. Nulla nel mondo in cui viviamo, dovrebbe esser sprecato».
Dove trovi ispirazione per creare.
«Da ciò che mi accade che spesso viene rielaborato attraverso i sogni.
Il fatto di riuscire a materializzare i pensieri mi ha sempre dato forza ed aiutato a credere in me stesso. L’energia che ci tiene vivi e che ci spinge a fare del nostro meglio, nella sopravvivenza, è forte e va captata e capita a pieno. Ed in questo modo spesso mi sento un po’ veggente, come si dice per i veri artisti».
C’è un’opera a cui sei più legato?
«Non esiste.
Nel mio pensiero non è possibile legarsi a qualcosa di materiale. La mia è una necessità. Non riesco nemmeno ad immaginare di fermare questa produzione di opere in marmo che ho avviato. Tutto in continua evoluzione, e quando le opere lasciano il laboratorio e cominciano il loro percorso, mi sento invogliato a ricominciare qualcosa di nuovo migliorando.
Mi sento molto fortunato perché in fin dei conti ciò che realizzo piace a molti, e ultimamente lo percepisco anche nella vita reale. Le poche volte che esco incontro sempre qualcuno che già mi conosce per il mio lavoro, e si complimenta per il mio operato. Sono emozioni che non si descrivono con le parole».
Sei un artista molto attivo sui social, cosa ne pensi di questi e che consigli ti senti di dare ad altri artisti che vogliono farsi conoscere?
«Pensare che non avevo mai avuto i social, poi ho scoperto che potevano essere un buon strumento di comunicazione. Perciò ho cominciato a mostrare le opere e anche la procedura di lavorazione, che può risultare interessante.
Sicuramente è un buon passatempo che riempie le pause dal lavoro più faticoso. Ma sopratutto è motivante quando il pubblico interagisce, ti supporta o anche se ti critica, perché le critiche sono costruttive.
Ai giovani consiglio di non farsi abbattere da nulla, affrontare tutto a testa alta, senza montarsi la testa o avere grandi aspettative. Bisogna essere umili e farsi sorprendere dalle cose belle che arrivano, piccole o grandi che siano. E non mollare, mai, anche quando vi sentite esausti, con i nervi a pezzi e tutto intorno a voi sembra andare nel verso sbagliato, e proprio quello il momento in cui i limiti vengono superati e la vostra anima si tempra.
Diventate grandi!».
Per chi ti segue e apprezza la tua arte, i tuoi programmi futuri e se ci sono mostre all’orizzonte.
«Qualche progetto interessante c’è, preferisco non parlarne troppo in anticipo perché la parola conta. Sto valutando alcune location nascoste nel centro della città di Torino per una mostra personale. Ci sono anche dei ragazzi talentuosi che stanno girando un documentario su questo mio lavoro che alla fine fa parte di me. Credo che uscirà nel 2022 perché deve accadere ancora tanto di quest’anno.
Vi consiglio di tenere d’occhio la mia pagina Instagram per sapere di eventi e progetti in quanto è sempre aggiornata in tempo reale.
Ringrazio chi mi segue, chi mi supporta, chi crede in me investendo nel mio lavoro e ringrazio in anticipo chi lo farà nel futuro perché alla fine il tempo è sempre adesso.
Il mio impegno va a Voi».
I link dell’artista
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