Michele Galli è lo pseudonimo dell’ideatore del progetto artistico ArTorin. Per chi non lo conoscesse ancora, è un artista che mescola sapientemente, e con uno sguardo attento, l’arte del passato con le scene che si vivono nella città di oggi.
Diciamo la verità, Michele Galli non esiste. Perché l’esigenza di creare uno pseudonimo?
«Michi Galli non esiste. Non è un segreto. L’ho dichiarato sin dalle prime interviste. Si tratta di uno pseudonimo nato solo per il progetto “ArTorin” e che come tale, vive esclusivamente sui social network. Facebook e Instagram sono la sua casa. Michi Galli non nasce unicamente per soddisfare lo sfizio di possedere uno pseudonimo alla pari di altri artisti del passato o contemporanei. “Rrose Sélavy” per Duchamp, o il misterioso Banksy, o ancora i torinesi Andrea Villa e Mr. Pink hanno creato uno pseudonimo per distaccare la propria carriera principale, da quella del loro alter ego. Lo stesso vale per Michi Galli. Una scelta dettata non solo dal voler separare due carriere differenti in un’epoca che tende a “brandizzare” ogni cosa, ma dalla necessità di tutelare la mia immagine e la mia persona dagli attacchi che questa “carriera pirata” potrebbe attrarre. E poi, parliamoci chiaro, le cose misteriose sono sempre le più belle».
Come è nato il progetto ArTorin?
«Il progetto “ArTorin” venne concepito sul finire del 2017, ma venne reso pubblico solo nel febbraio del 2018. Nacque dalla necessità di trattare tematiche di estrema attualità, in un modo diverso rispetto a quelle illustrazioni dense di stereotipi che affollano i social network, tra cattivo gusto e contenuti banali. Il progetto, avvalendosi di un linguaggio estremamente pop, cavalca l’onda dei social media e del loro potenziale illimitato e, affondando le radici nel substrato culturale del nostro patrimonio storico-artistico, riporta in vita opere del passato, rinnovando la loro forza comunicativa e rendendole contemporanee più del contemporaneo».
Il tuo scopo è quello di denunciare, cosa esattamente? A circa un anno e mezzo di distanza, credi di aver raggiunto il tuo obiettivo?
«Spesso crediamo che la denuncia sociale sia prerogativa solo di quell’arte che noi chiamiamo “contemporanea”. In realtà il passato è costellato di artisti che, armati di pennello e scalpello, hanno fatto più feriti di quanti se ne potesse fare con una spada. Millet con le sue spigolatrici, Picasso con “Guernica”, ma anche i malati dipinti da Masaccio nei suoi celebri affreschi, sono testimoni di quanto la storia dell’arte sia punteggiata di denunce sociali. Un artista che affronta simili situazioni non deve illudersi di risolvere un problema solo attraverso la sua opera d’arte ma, portando a galla tali situazioni, rende possibile un cambiamento collettivo. “ArTorin” si pone di fronte le problematiche della nostra epoca con questa filosofia. Attraverso un linguaggio elegante, cerca di mostrare lo sporco nascosto fra le pieghe del nostro mondo, colpendo, a volte con ironia, altre con drammaticità, ogni aspetto del quotidiano. Non si può sapere se simili opere abbiano raggiunto il loro obiettivo, perché si sa, i cambiamenti positivi in genere sono silenziosi. Lao Tzu diceva: «Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». E l’arte è un po’ come una foresta…»
Come nascono le tue opere?
«Ogni nuova opera nasce in seguito ad una profonda ricerca legata sia al piano formale sia a quello concettuale del dipinto, proprio per sfruttare al meglio le potenzialità delle figure rappresentate. In genere seguo due strade diverse per creare queste opere. Ho costellato il desktop del mio PC con immagini di futuri dipinti da modificare. Ogni giorno passo in rassegna l’intera carrellata di immagini sì da stimolare la mia mente a creare una combinazione con uno scenario potenzialmente adatto. Se ricevo la scintilla giusta, allora parto alla ricerca dell’ambiente base, che verrà “costruito” e si adatterà alla prospettiva del dipinto originale. Altrimenti, quando non ricevo la proverbiale scintilla, passeggio semplicemente in città alla ricerca di qualche scorcio interessante da fotografare. Fotografo tutto. In studio poi controllo il materiale raccolto e cerco di fondere le figure. Una volta trovate le materie prime si parte col lavoro vero e proprio, che consiste unicamente in un taglia, incolla, regola luci e ombre su Adobe Photoshop».
Credi che questo progetto possa essere esteso ad altre città italiane?
«Ridurre il progetto unicamente alla realtà di Torino, è un’idea limitante. L’arte è da sempre stata portatrice di un messaggio universale, capace di trascendere i limiti spazio-temporali. In questo caso gli scorci urbani del capoluogo piemontese, fungono unicamente da scenografie davanti alle quali possono muoversi le figure della storia dell’arte, reinventando e reinterpretando gli ambienti e la loro stessa identità. Se inizialmente il progetto si concentrava sui punti più riconoscibili di Torino, maturando ha perso questa caratteristica prettamente turistica, spingendosi in periferia e raccogliendo una serie di suggestioni non limitate alla sola Torino, ma presenti in tutte le città».
Qual è il tuo messaggio artistico?
«ArTorin ha tre livelli di lettura. Il primo livello del messaggio che voglio lanciare é prettamente di denuncia sociale. ArTorin propone infatti una serie di critiche, più o meno evidenti, verso una società estremamente individualista e apatica, che con ipocrisia si lamenta di tutto e non fa nulla per cambiare la situazione. Dunque, attraverso un linguaggio POP che cavalca i social media, vado a far luce sulle problematiche del nostro periodo storico (che nella maggior parte dei casi, sono le stesse del passato). Nel secondo livello evidenzio, come scritto anche nella descrizione della pagina, che l’arte non é morta. Siamo convinti che l’arte sia roba da museo. Da vedere, studiare e soprattutto osservare. Ma pur sempre “roba da museo” rimane. L’arte non é roba da museo. La pala d’altare dipinta dal Masaccio, un tempo, era l’unica immagine che le persone potessero vedere. Non esistevano tutte le immagini che popolano e bombardano la nostra realtà quotidiana. Loro avevano solo le opere degli artisti. E su quella pala d’altare pregavano! O ancora, più vicino a noi, Picasso con Guernica. Noi andiamo al museo e ammiriamo il suo capolavoro. Bene. Ma veramente abbiamo capito e interiorizzato il dramma che l’artista voleva mostrarci con quei corpi smembrati e scomposti, da lui dipinti? La storia é ciclica, lo sappiamo, e l’arte, che sempre storia é, continua a riproporsi e ripresentarsi a noi. Questo é il messaggio. L’arte é SEMPRE STATA CONTEMPORANEA (come vuole Maurizio Nannucci, con la sua insegna al neon sull’archeologico di Berlino). Nel terzo livello si muove invece una ricerca dal punto di vista delle nuove tecnologie e di come i social media stiano modificando il nostro modo di comunicare e approcciare. Di come le informazioni siano “eterne” e, al tempo stesso, non durino che una frazione di secondo. Quanto basti per aggiornare la schermata social e beneficiare di una cascata di nuovi contenuti. Nell’era del social, nulla è fermo, stabile, “eterno” come un dipinto da museo, ma viene trascinato dallo stesso fiume che con quotidiana frenesia trascina tutti noi».
Hai in mente qualche nuovo progetto artistico?
«Ho intenzione di mantenere attivo il progetto “ArTorin” finché ne avrò la capacità e fintanto che non avrò esaurito tutte le cose da dire. Si tratta comunque di un esperimento relativo all’uso della realtà social, di quanto sia possibile comunicare attraverso i social media e delle potenzialità offerte da un sistema che mette a disposizione la possibilità di costruire false identità, che nel momento in cui entrano nel sistema stesso diventano vere».
Qualche curiosità?
«Il bello di aver creato un simile progetto mediante uno pseudonimo, è proprio quello di poter osservare gli altri sapendo di non essere visti. Molte volte, infatti, mi è capitato di incrociare per strada o di sedere accanto a persone che seguono con entusiasmo “ArTorin”. A volte mi hanno pure chiesto se sapessi chi ci fosse dietro, ed io, ovviamente, non ho saputo rispondere».
Cosa vuoi aggiungere?
«Sebbene sia nato relativamente da poco tempo, “ArTorin” ha già raggiunto numerosi traguardi; uno fra questi, è quello di aver creato diverse immagini virali. La più condivisa in assoluto è quella che ritrae il famoso “Il bacio” di Hayez, artista del romanticismo italiano. La scena si svolge a Porta Nuova lungo un treno regionale veloce diretto a Milano, davanti al quale i due eterni innamorati si scambiano l’ultimo bacio. Questo a testimonianza che nel 2019 l’amore è ancora una delle emozioni più intense e più desiderate che si possano provare».
Scopri il video dedicato all’artista