Giovanni Garani è un fotografo che esprime il suo amore per la natura e per la montagna attraverso i suoi scatti e ce lo racconta in questa intervista.
Breve presentazione e come è nata la passione per la fotografia.
«Nasco a Parma l’8 luglio del 1966, mi diplomo in ragioneria ed eredito da mio padre due delle sue tante passioni: l’amore per la montagna e quello per la fotografia. Negli ultimi 10 anni poi, sviluppo un’attenzione sempre maggior al mondo fotografico. Nel 2013 sono tra i fondatori del gruppo foto naturalistico emiliano “Obbiettivo Natura” e nel 2016 ricevo la cittadinanza affettiva del Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, grazie all’opera di divulgazione del territorio attraverso i miei scatti».
Che genere fotografico prediligi?
«Come facilmente intuibile amo fotografare il paesaggio di montagna è quindi il mio genere fotografico preferito è quello paesaggistico naturalistico. Piace cimentarmi di tanto in tanto realizzando gli scatti alla fauna, ma amo molto anche la ritrattistica, in particolare quella storica. Amo fotografare i rievocatori e creare con loro set dedicati, anche se per una serie di ovvi motivi, è un tipo di fotografia che in questo momento si fatica a realizzare…».
Tu sei il Presidente del gruppo di “Obbiettivo Natura”, come è nato il progetto e cosa fate?
«Come accennato, nel 2013, insieme ad altri quattro amici, ho fondato il gruppo foto naturalistico emiliano “Obbiettivo Natura”. Tutto nasce dalla scelta di dare alla fotografia il suo naturale sbocco: quello della stampa. Ci siamo dati forma giuridica di circolo, ma in realtà siamo molto più simili a un collettivo fotografico. Oggi “Obbiettivo Natura” vanta più di 40 soci provenienti dalle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova e Cremona. Abbiamo all’attivo diverse collaborazioni volte all’allestimento di mostre, proiezioni e work shop di genere naturalistico/paesaggistico. Fulcro del nostro statuto è il concetto della diffusione della cultura naturalistica attraverso la fotografia e viceversa e per sua natura il gruppo è sempre stato aperto a chiunque voglia conoscerci o farne parte. Di conseguenza siamo anche attivi su tutti i principali canali social presenti sul web. Curiamo anche una rivista tutta “home made” trimestrale, a cui teniamo molto, chiamata “Obbiettivo Natura Magazine”, fruibile gratuitamente online».
Come nascono quindi i tuoi scatti?
«Per quanto riguarda la paesaggistica il mio approccio è un mix tra la fotografia di appostamento e quella “on the road”. Spesso durante il trekking non è possibile soffermarsi più di tanto ad aspettare, quindi devo cercare di cogliere il meglio dal momento. Altre volte mi è consentito sedermi ed attendere. Il mio zaino si configura quindi a seconda delle due situazioni: cavalletto più leggero e obbiettivi tuttofare per prima, cavalletto più pesante e kit completo di lenti per l’appostamento. Non mancano però in nessun caso i filtri a lastra. Avendo un approccio tradizionale allo scatto, amo molto più fotografare che post produrre e quindi pongo molta attenzione in fase di scatto per cercare di ridurre al minimo il lavoro sul computer. Anche il mio prodotto finito è tendenzialmente molto pulito, con un “mood” poco in linea con le tendenze di post produzione attuali. Quando invece mi dedico alla ritrattistica storica, pongo molta attenzione alla “credibilità” dell’immagine, aspetto che riveste la difficoltà maggiore. La mia macchina fotografica si trasforma in una piccola macchina del tempo. In entrambi i generi, cerco di porre la massima attenzione al bilanciamento dell’immagine nel suo complesso, fattore per me molto importante per la riuscita di una buona fotografia».
Come si realizza la serie o foto perfetta secondo te?
«Credo che la foto perfetta la si insegua per tutta la vita… figuriamoci una serie! In linea generale la capacità di pre visualizzare un’immagine, di intuire un’opportunità dove non sembrerebbe, aiuta tantissimo. Un’attenta pianificazione, una perfetta conoscenza dei propri strumenti di lavoro e la capacità di scendere in empatia, vuoi con un luogo, vuoi con una modella, sono poi gli altri ingredienti fondamentali per uno scatto vincente. Come prima cosa penso al tipo di lente che mi serve per quel determinato scatto, mi documento su quale sia il momento migliore in base alla posizione rispetto alla miglior luce e determino un punto di ripresa cercando sempre una condizione di equilibrio nel peso complessivo dell’immagine. Nel caso della fotografia paesaggistica, ad esempio, non sono un fan delle foto scattate con fuoco all’infinito, amo contrapporre un soggetto di primo piano per dare risalto alla profondità di campo ed estremizzare le distanze. Poi capita che si possa tuttavia optare con un’ottica opposta, zoomando per comprimere i piani…tutto in relazione del soggetto che si ha di fronte. In conclusione, se mi chiedete quale elemento fa davvero la differenza, vi dico che è appunto il corretto bilanciamento del peso di una scena».
Cosa non deve quindi mai mancare nel tuo zaino?
«Nel mio zaino non mancano mai i filtri a lastra (GND 0.9soft e ND 64 + ND 1000) e un cavalletto se esco a fotografare paesaggio. Per le lenti dipende dal soggetto, comunque focali estreme: 14/24 o 70/200. Più raramente il 24/70. Per quanto riguarda invece il ritratto, non può mai mancare il mio 70/200 f2.8. Dovendo portare una sola lente, sceglierei quella».
A quale progetto stai lavorando o vorresti dedicarti?
«Tre progetti mi stanno a cuore in modo particolare e si sviluppano ormai da anni, aggiornandosi continuamente. Hanno come filo conduttore comune la montagna e si ambientano sul nostro Appennino (luogo che conosco e amo moltissimo), sulle Dolomiti nel comprensorio Ladino (luogo che frequento spesso da molti anni) e tra i fiordi invernali delle Isole Lofoten in Norvegia alla ricerca delle aurore boreali… progetto questo ovviamente sviluppato meno assiduamente e piuttosto dilazionato nel tempo, ma comunque in movimento».
Una curiosità prima di lasciarci…
«C’è un aneddoto che vi voglio raccontare e che credo possa fare capire quanto siamo importante sapere cambiare in corsa per ottenere qualcosa di imprevisto e di gratificante: una sera d’estate sono salito sui nostri monti con altro socio ed amico del gruppo per fotografare la via lattea. La notte era tersa e perfetta per quello che volevamo fare. Arrivati sul posto ci siamo preparati per tempo e abbiamo iniziato a scattare. Dopo avere fatto quanto stabilito in programma, abbiamo smontato tutto e ci siamo riportati alla macchina. Nello scendere, dopo un paio di tornanti, abbiamo trovato un cucciolo di volpe, stanco dopo una giornata di giochi e apprendimento, addormentato a bordo strada. Ho estratto il 70/200 e quasi al buio totale (ero aiutato da una luce molto fioca puntata a fianco del soggetto) ho iniziato a scattare senza grandi speranze. Alla fine ne è uscito uno scatto che forse è stato il mio più grande successo, imperfetto tecnicamente ma unico nel suo genere. Questa fotografia è stato a lungo copertina della pagina facebook di National Geographic ed ha avuto un altissimo numero di visualizzazioni, diventando una delle foto più viste di sempre su quella piattaforma. Per chiudere quindi due riflessioni: a volte si esce con in mente un progetto…e poi succede che se sai improvvisare torni a casa con qualcosa di diverso e inaspettato, ma non per questo meno importante; inoltre non sempre lo scatto “perfetto” tecnicamente è il migliore…ci sono situazioni in cui anche uno scatto con qualche difetto vale molto di più. Molti fotografi di oggi dovrebbero riflettere sinceramente su questo punto».
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