Francesco Ciaponi, studioso, consulente e storyteller di Storia della grafica ci spiega cosa vuol dire editoria indipendente.
Breve presentazione.
«Io sono Francesco Ciaponi, classe ’78, come si dice dalle mie parti, toscano d’origine. Dopo essermi laureato in Storia della Stampa e dell’Editoria ho lavorato in un’azienda multinazionale per circa 10 anni ricoprendo svariati ruoli ma sempre all’interno dell’ambito della formazione del personale. Pur essendo un ambiente competitivo e molto improntato al business, devo ammettere che, a distanza di anni, ho capito che anche da ecosistemi così lontani al mio, esistono forme e occasioni di apprendere metodi e approcci che mi sono tutt’oggi molto utili.
Avendo sempre coltivato il sogno di lavorare con i ragazzi e soprattutto di far conoscere la storia della grafica e dell’editoria indipendente, non ho mai smesso di studiare e fare ricerca su questi temi che solitamente tutti ignorano. Questo mi ha portato nel 2017 ha mollare la scrivania per crearmi una mia piccola casa editrice e sito www.edizionidelfrisco.com con l’obiettivo di propormi a università e accademie dove ci sarebbe davvero tanto interesse da parte dei ragazzi.
Così oramai da un anno sono docente di Storia dell’editoria alla LABA di Rimini e tengo corsi e seminari in altre realtà quali IED Milano, Accademia di Brera, ISIA Firenze, ACCA Jesi etc riscontrando un’attenzione ed una curiosità che è forse il motivo principale per cui credo di aver fatto la scelta giusta e spero di riuscire ad ottenere sempre più spazi e occasioni anche in futuro».
Quando e come hai scelto di fare editoria indipendente?
«Fondamentalmente credo che tutto nasca quando avevo circa 16 anni e scoprii all’interno dei locali dove si suonava musica dal vivo, l’allora immancabili banchi con il merch della band da cui mi sentivo irrimediabilmente attratto, soprattutto a causa di quelle strane pubblicazioni dal sapore povero e sincero, quelle che con il tempo imparai a creare anche io e che sono oggi oggetto di alcuni dei miei corsi. Avevo scoperto il mio amore per le fanzinee e le altre forme di editoria indipendente.
Da allora si è aperto un mondo che non ha mai smesso di appassionarmi, un mondo fatto di poster art, di serigrafia e tipografia, di ciclostili e rivistine… un intero universo che aspetta ancora di essere disvelato e conosciuto. A mio avviso si tratta del miglior specchio della società, uno specchio diretto a prescindere dal luogo o dal periodo in cui viviamo. Uno specchio non mediato, a volte ingenuo nella sua purezza, ma unico e inestimabile nel suo essere scevro da qualsiasi aspetto commerciale o da interessi che non riguardino il cuore pulsante di questi progetti ovvero la passione».
Puoi spiegare a chi non lo sa che cos’è l’Editoria indipendente?
«Su questa domanda potremmo fermarci e non uscire più. In quanto studioso del tema ho più volte cercato di definire il termine indipendente ma, alla fine, credo proprio che non ci riuscirò mai del tutto e forse è anche giusto che sia così visto il carattere riottoso della materia in questione. Si possono, quello sì, azzardare delle differenti versioni a seconda del periodo storico e del tipo di materiale che decidiamo di prendere in esame. La classica fanzine punk degli anni Ottanta è prodotto editoriale assolutamente differente dai moderni magazine (indipendenti). Il mondo della vera e propria stampa underground nata sotto il regime nazista non ha molto a che rivedere con le estreme riviste della controcultura degli Anni Sessanta.
Diciamo che chi vuole approfondire questa eterna diatriba – classica in Italia – fra i puri indipendenti ad ogni costo e coloro i quali considerano indipendente anche le piccole case editrici, non si deve far distogliere l’attenzione sullo studio del fenomeno, che è poi l’aspetto davvero importante della questione. Credo comunque che l’approccio più interessante per lo studio – bibliografico – di questo materiale sia quello proposto per ben altri prodotti, dallo studioso Donald F.McKenzie con la sua Sociologia dei testi, teoria secondo la quale ogni parte del libro (o rivista) sia fonte di importantissime informazioni, comprendendo in particolare, gli aspetti extra testuali, come la tipologia di stampa, la distribuzione, il contesto socio-culturale etc».
Quali sono gli aspetti positivi o negativi di questo tipo di editoria?
«Detto che l’oggetto della domanda è quindi tutto da definire, gli aspetti positivi che ritroviamo nel mondo delle autoproduzioni più o meno strutturate sono molti. Innanzi tutto, come accennato, il fatto di rappresentare una specie di chiave interpretativa della società. Questi prodotti, ognuno a suo modo, evidenziano non solo i temi e le discussioni delle varie fasi storiche e delle differenti zone geografiche, ma lo fanno anche con stili grafici, con una propria estetica che ne rappresenta il gusto particolare in un momento e luoghi altrettanto particolari. Sono una specie di confessione pubblica redatta su carta dove gli storici possono andare a ricercare i segreti che le diverse società solitamente preferiscono nascondere o peggio ancora cancellare. Da qui il loro valore a mio avviso inestimabile e unico.
Quelli negativi appartengono all’essenza stessa dell’editoria indipendente, che ne fanno un fenomeno a parte: innanzi tutto la scarsa solidità dei progetti, non solo economica, soprattutto se penso a realtà del passato, che comportano spesso una vita brevissima.
Altro aspetto, questa volta su cui sono più critico, è la scarsa dignità che proprio coloro i quali realizzano fanzine e riviste indipendenti danno alle loro idee e avventure editoriali. Oggi, devo ammettere che questa auto limitazione si è molto ridotta e molte riviste nascono con buone idee e progettualità.
È chiaro infatti che se sei tu il primo a non credere che ciò che hai da dire non ha importanza per gli altri, forse è il caso che tu non cominci neppure a lavorarci».
Dal 2017 gestisci la casa editrice “Edizioni del Frisco”, ce ne parli?
«Le Edizioni del Frisco sono lo strumento migliore che ho individuato per supportare la mia attività di studio e ricerca in questo ambito, quello che mi permette ogni tanto di pubblicare volumi altrimenti difficilmente stampabili dall’editoria mainstream e che mi ha avvicinato a tanti ragazzi che invece hanno fame di conoscere tutta una flora ed una fauna che oggi più che mai può essere loro utile per differenziarsi come approccio nel selvaggio mondo di quelli che io chiamo genericamente creativi.
La casa editrice pubblica pochi libri, supporta progetti editoriali e grafici di giovani artisti italiani e non e recentemente si è spinta nella assurda avventura di Friscospeaks.
Cos’ è “Friscospeaks”?
«Eccolo… Friscospeaks mi piace sempre definirlo come una jam session libera di grafici e creativi. Un progetto di magazine semestrale totalmente autofinanziato che, a differenza di tutti i magazine in circolazione, non ha un tema specifico se non un forte interesse verso tutto ciò che è indipendente e marginale nelle cultura e nella grafica di oggi e di ieri. Circa 20 artisti differenti in ogni numero che si autogestiscono il proprio spazio in maniera libera e priva di regole, recensioni di quanto di meglio si può trovare fra le fanzine, i magazine e i fumetti indipendenti in commercio, saggi sulla storia della grafica indipendente ed un’intervista all’illustrare di copertina quasi sempre straniero, l’ultimo – tanto per capirsi – è un mio vecchio pallino, il grande McBess!
Insomma, fate un giro sul sito delle Edizioni del Frisco e date un’occhiata!».
Tu sei anche docente di Storia della Stampa e tieni seminari, corsi e workshop… cosa si aspetta di impare chi li segue?
«Un po’ ne ho già accennato… credo soprattutto nell’utilità, oggi più che mai, di sviluppare da parte dei ragazzi che partecipano, un pensiero laterale che li distanzi dalla figura di mero esecutore a cui sembrano tutti, anche involontariamente, tendere. Conoscere realtà del passato, prive dei mezzi che per loro sono scontati, con competenze tecniche limitate e sapere quello che hanno realizzato solo con la fantasia e la voglia di esprimersi credo sia un buon modo per esercitarsi a pensare differente ed a agire di conseguenza nel proprio lavoro, che sia di grafico, di illustratore, fumettista o più semplicemente di fanzinaro. Se vogliamo andare un po’ più nello specifico, i miei corsi trattano degli aspetti storici della grafica e dell’editoria indipendente, tutti gli stili – dal ciclostile alla fotocopiatrice, dalla psichedelia al punk, dai magazine di oggi fino alla grafica surf e skate, dalla lobrow art fino al collage e la stampa risografica – un infinità di personaggi e storie che aspettano solo di essere riportate a galla.
A fronte di una difficoltà oggettiva che riscontro nel proporre questi temi in ambiti accademici, devo dire che i ragazzi restano sempre sconvolti dalla quantità di materiale che gli si spalanca di fronte e che, a giudicare anche dai successivi contatti, vanno ad approfondire con estremo interesse».
A chi dice che la carta stampata ormai è morta per colpa del web, cosa rispondi?
«La profezia della morte della carta è molto simile a quella che sosteneva che avremmo vissuto nella cosiddetta società delle immagini, tutto a discapito della scrittura. Niente di più sbagliato. Navighiamo in un mondo in cui si scrive come mai prima e lo stesso si può dire per la carta. Se allarghiamo il nostro spazio di analisi, risulta facile notare infatti la mole di libri, fumetti, riviste e fanzine che oggi abbiamo facilmente a portata di mano. Un’infinita possibilità di scelta mai vista da tutte le generazioni precedenti alla nostra.
Non mi dilungo sugli aspetti materiali che fanno dell’oggetto-libro (e rivista) il migliore strumento per leggere e studiare, ma mi piace invece sottolineare come anche in Italia nell’ultimo decennio si siano creati spazi fisici di condivisione dove far nascere infinite reti collaborative e momenti di approfondimento su certe tematiche. È un fenomeno che forse si sta oggi ridimensionando, penso ai vari festival e appuntamenti che aprono sempre più a seminari e panel sull’editoria indipendente ricevendo in cambio una partecipazione di pubblico a mio avviso del tutto inattesa.
Esiste uno spazio immaginario, all’interno di tutte le società e le culture, in cui nascono e si sviluppano in modo del tutto naturale e imprevisto, forme di critica all’esistente o comunque di pratiche alternative. Questo spazio è sacro e l’utilizzo della carta è solo una delle forme in cui questo spirito sognatore si manifesta e si manifesterà ancora a lungo».
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