Fabio Pasquali è uno stilista, disegnatore e digital artist. Prende spunto dai social media e dai rotocalchi, dai muri scrostati e mette insieme le immagini mescolando realtà, desiderio, immaginazione, paure.
Breve presentazione.
«Sono Fabio Pasquali, sono nato ad Aosta nel 1963. Diplomato presso l’Istituto per l’Abbigliamento “Marangoni” di Milano, sono stilista e consulente di noti marchi del settore fra cui Kenzo Homme e Givenchy pour l’Homme. Ho curato varie collezioni personali ed ora lavoro per rinomati brands quali Burberry, Chloé, Saint Laurent, JWA».
Quando hai capito che volevi essere un artista.
«Il mio percorso artistico comincia nel 1992 quando ho iniziato a viaggiare per il mio lavoro nella moda, influenzato dai graffiti dell’underground londinese, mi ritrovai a disegnare e dipingere con una certa frequenza. La svolta definitiva però avvenne in estate a Parigi, dove conobbi e frequentai per qualche tempo un pittore affermato della banlieue parigina: Yves Aubry. Con il tempo, e grazie al mio lavoro nella moda, ho cominciato a “dipingere” in modo digitale».
Cosa vuol dire per te dipingere.
«Credo che dipingere non sia l’espressione di un dono di natura o la conseguenza di particolari attitudini che uno possiede, ma semplicemente un bisogno, che qualcuno ad un certo punto della vita, sente come impellente. L’espressione artistica, insomma, non nasce da qualcosa che si possiede in più rispetto agli altri, ma al contrario da una vera e propria mancanza. Per colmare tale assenza alcune persone prendono in mano una matita e disegnano e questo in qualche modo li appaga. Non ha alcuna importanza quindi sapere perché si creano delle cose, vanno realizzate per il semplice motivo che se ne avverte il bisogno».
Che tipo di opere realizzi e con quale tecnica?
«Le due tecniche con le quali mi cimento sempre di più ultimamente sono: La tecnica del doodle, con la quale riempio grandi tele bianche di schizzi, disegni e appunto scarabocchi usando Uniposca neri o bianchi. Questa tecnica lascia libero spazio all’espressione istintiva, rappresento ricordi, momenti, sensazioni in un insieme che assume alla fine una sua forma nuova di per sé.
La tecnica della Digital Art, dove letteralmente mi sbizzarrisco con Photoshop creando in alta definizione immagini tra il dissacrante e l’ironico prendendo spesso spunto dai capolavori famosi. L’idea me l’ha data l’artista Banksy con la sua opera “Show me the Monet” che con voce di protesta e dissenso sociale, fa luce sul disprezzo della società per l’ambiente a favore degli eccessi dispendiosi del consumismo. Ho trovato chiaramente geniale l’idea e, a modo mio, in digital art, ho voluto dare un tributo connotato spesso in chiave ironica, cosa che riflette molto il mio essere. Stampo le mie grafiche su tela o altri supporti e, a volte, ricopro l’immagine di resina, come a sigillarla in una reliquia moderna.
Come descriveresti il tuo stile e cosa ti aiuta a trovare l’ispirazione.
«Generalmente non descrivo il mio stile, lascio che siano gli altri a divertirsi… A volte, disegnando i doodle mi sembra di essere un patetico vecchietto che cerca di imitare i ragazzini di strada, i graffitari, in modo elementare e grottesco, un eterno Peter Pan che gioca a fare l’artista. Invece metto molta serietà in quello che faccio pur non prendendomi mai sul serio.
Non imito nessuno anche se prendo spunto dalle cose che mi piacciono di più e mi colpiscono la pubblicità, i fumetti, l’architettura e il design. Spesso mi accorgo di dare una connotazione vintage alle mie rappresentazioni e ciò credo che faccia parte non solo della mia età, ma proprio del mio gusto (stile). Scherzo, scherzo spesso nella vita, sul lavoro, con gli amici, credo che l’umorismo sia una delle cose che distingua l’uomo dalla bestia. O forse me dalla gente triste… o forse me dalla gente seria…
Metto l’umorismo anche in quello che faccio, non mi piacciono i messaggi “pesanti” e tratto con ironia anche le tematiche più serie».
C’è un’esperienza lavorativa che ti ha dato maggiore soddisfazione?
«Un quadro che dipinsi molti anni fa’ usando solamente pennello e acrilici. Rappresentava una Pin Up anni ’50 che indossava un paio di jeans enormi…
Quel quadro è diventato un’icona di molti negozi di abbigliamento “Big and Tall” sparsi per il mondo».
Quello dell’arte è stato un settore duramente colpito dagli effetti del COVID-19, cosa ne pensi di questa situazione?
«Credo che stiamo vivendo uno dei momenti più duri dal dopoguerra, la gente si rinchiude, ha paura, spesso fa fatica ad andare avanti nel quotidiano; questo crea stress, rabbia e depressione.
Per un artista questo però, paradossalmente, può diventare anche un momento prolifico. Il linguaggio dell’arte spesso esprime sensazioni forti che esse siano positive o negative, come scrivevo prima, l’espressione artistica spesso nasce da una mancanza che si è portati a colmare dipingendo o disegnando. Io per esempio, durante il primo lockdown, quello di marzo/aprile del 2020 ho realizzato “The Big Quarentine Doodle” una tela grande 2 metri. In essa sono contenuti ricordi, sensazioni del presente e flash di sogni da ragazzo. Una tela in cui ho sentito il bisogno di raffigurare oggetti di uso quotidiano, la mia famiglia e tutto quello che mi passava per la mente in quel periodo di isolamento forzato. I miei famigliari avevano il compito ogni giorno di darmi il nome di due o tre oggetti che li venivano in mente e io li trasponevo sulla tela. Un po’ come se stessi cadendo e mi passasse la vita davanti in un flash».
Qual è il tuo messaggio artistico?
«Tutto quello che non riesco ad esprimere con le parole, raccontare per immagini una sensazione che non può essere trasmessa in altro modo. Fondamentalmente una comunicazione “in codice” un po’ come quella pubblicitaria, ma che aiuta a riflettere e, magari, a vedere le cose sotto una prospettiva diversa… Provo ad aggiungere un po’ di caos all’ordine».
Cosa non deve mai mancare sul tuo tavolo o intorno a te mentre lavori?
«Fogli per scarabocchiare, ma tanti fogli da scarabocchiare e il mio computer collegato alle rete. Spesso comincio a guardare immagini, le copio e sovrappongo con photoshop, le stampo, ci scrivo sopra e le elaboro ancora. Poi passo ad altro e ricomincio… è una delle cose che mi piace più fare, in assoluta libertà.
Dimenticavo… e l’andirivieni dei miei cani».
C’è qualche progetto in particolare a cui stai lavorando o vorresti realizzare?
«Mi piacerebbe realizzare una mostra personale in una casa abbandonata o in una fabbrica dismessa… forse quando se ne sarà andato il Covid e avrò venduto un po’ di quadri!».
Una curiosità prima di lasciarci?
«Sogno nel cassetto… e mi sveglio tutto anchilosato».
I link dell’artista
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