Elena Manocchio

Il gioiello come oggetto che valorizza la personalità di chi lo indossa

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Elena Manocchio è una disegnatrice e creative design che realizza nella bottega di famiglia, i suoi preziosi oggetti grazie alla maestria dell’incisione lignea.

Dove vivi.
«Sono nata a Napoli, dove ho la fortuna di vivere e lavorare».

Quali studi hai fatto?
«Sono laureata in Storia dell’Arte e specializzata in beni storico artistici con lavori di ricerca sulla scultura lignea a Napoli in età Moderna».

Raccontaci il tuo percorso artistico.
«Unitamente al lavoro di ricerca all’Università Suor Orsola Benincasa e ad altre esperienze professionali nell’ambito dei Beni Culturali (organizzazione di mostre, coordinamento restauri, Catalogazione per le Soprintendenze Campane e di altre Regioni del Meridione), ho dato vita al mio laboratorio, una vera e propria officina creativa in cui ideo, progetto, sperimento, creo gioielli e altri oggetti di design in legno e argento. Questa fucina, così multiforme, l’ho chiamata Poliedrica. Fra le mie attività artistiche amo profondamente il disegno e le tecniche pittoriche. Ultimamente ho partecipato, con due miei disegni a un progetto editoriale intitolato Carnale, gocce poetiche di eros, (Napoli 2019), una raccolta di poesie e immagini».

In cosa consiste esattamente il tuo lavoro e come prendono vita i tuoi gioielli?
«Il mio lavoro è vario, sempre nuovo, diverso ogni giorno. Esistono però delle fasi di lavorazione che posso riassumere in quattro momenti ben caratteristici. Il primo è quello dell’ideazione: l’ispirazione può sopraggiungere in modi diversissimi, una riflessione su un’opera d’arte, una suggestione cromatica in un film, una chiacchierata al bar all’ora dell’aperitivo. Successivamente il gioiello va progettato nelle forme e nei materiali, e va fatto con attenzione perché si tratta di oggetti da indossare: è auspicabile che siano esteticamente apprezzabili ed è necessario debbano vestire bene. Il gioiello deve essere sentito come oggetto che valorizzi un tratto della personalità di chi lo indossa e non per il suo peso ed è per questa ragione che i miei gioielli, seppur voluminosi, prima di entrare in commercio devono passare la prova bilancia: è consentita solo una manciata di grammi per ciascuno di loro. La fase esecutiva vera e propria è quella più interessante perché è il momento di maggiore sperimentazione. Non si contano le volte in cui un progetto, perfettamente funzionante su carta, sia stato totalmente stravolto sul banco da lavoro. L’ultimo tempo della creazione è quello della presentazione del prodotto. Quest’ultima a volte richiede molta concentrazione ed esecuzione di attività diverse quali la fotografia, produzioni grafiche, studio e realizzazione del packaging».

Usi strumenti e materiali particolari?
«Il laboratorio, che condivido con mio padre, designer orafo e artista anch’egli, è una vera e propria wunderkammer (gabinetto di curiosità), che racchiude oggetti curiosi e materiali disparati, attrezzi e strumenti diversi, da quelli più squisitamente attinenti alla lavorazione dei metalli a quelli, più “sporchevoli” della lavorazione del legno. Vi è poi il tavolo dei colori, pigmenti, tinte, soluzioni coloranti, che è una gioia al solo guardarlo».

Come avviene la realizzazione materiale del gioiello?
«Tutte le parti in legno vengono sagomate a mano e con l’aiuto di una levigatrice. Laddove richiesto dal modello gli elementi lignei vengono forati o traforati e vengono poi rifiniti con carte abrasive e panni leviganti prima di essere verniciate con colori atossici di diversa natura. Le parti in metallo vengono lavorate al banco, sagomate con seghetti e rifinite con lime e carte abrasive di grana sempre più sottile per poi essere rifinite e lucidate. In alcuni casi viene loro fatto un bagno galvanico per ottenere dorature di varie tonalità (oro rosa, giallo, rosso). Successivamente tutte queste parti vengono rifinite con cura, assemblate fra loro e, ove richiesto, con altri materiali (caucciù, plexiglass, pelle) e poi confezionate per il cliente che desidera indossarle».

Su quali progetti stai lavorando?
«Al mio ultimo progetto ho dato il nome di DR5. Questa sigla, apparentemente “fredda” rappresenta un turno “caldo” di lavoro al Museo Madre, quello più intenso, “la lunga” come si dice fra colleghi. DR5 è il risultato delle ore trascorse nelle sale del museo, immersa dentro al racconto diretto delle opere, alle voci inedite dei curatori, agli sguardi curiosi dei visitatori, al confronto proficuo coi colleghi, è un progetto che nasce dalla felice condivisione dello spazio dell’arte nel suo prezioso contenitore, un lavoro di ampio respiro che trova il suo punto di partenza in questa capsule collection di gioielli ispirati a tre opere fondamentali per l’arte a Napoli, nello specifico: Spirits di Rebecca Horn, Giuditta e Oloferne di Richard Serra e Dittico rosa di Ettore Spalletti. L’idea è quella di mettere in una forma diversa, portabile (quella del gioiello), la riflessione sull’arte da parte di chi, come me, oltre ad averla studiata, ha avuto l’opportunità di lavorarci da presso intensamente».

Qualche curiosità?
«La decisione di lavorare il legno in chiave preziosa nasce senz’altro negli anni dedicati agli studi sugli intagli e sulla scultura dorata e dipinta a Napoli: dai rutilanti soffitti di San Gregorio Armeno e Donnaromita ai preziosissimi reliquiari ammirati a Napoli e in Spagna in un avvincente periodo di ricerca storica e di riflessioni critiche. Esperienza che ha preso consistenza nel lavoro svolto presso il laboratorio di Restauro di Opere Lignee del mio ateneo, nel quale ho potuto sperimentare a suon di sgorbie, pialle e foglie d’oro, la dimensione della “bottega”. L’abbinamento al metallo prezioso, l’argento su tutti, è ancora una volta, una naturale declinazione di quegli splendidi, sfavillanti arredi, resa possibile grazie al confronto familiare, che ancora è per me assolutamente imprescindibile».

Scopri il video dedicato all’artista

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