Claudio Patanè, artista catanese con il suo “carnet de voyage” ci racconta la quotidianità di un viaggio personale.
Che studi hai fatto?
«Università degli Studi di Catania, Facoltà di Architettura (sede di Siracusa)»
Qual è il tuo percorso artistico?
«Sono un architetto e mi occupo di disegno dal vero e d'”invenzione” da molti anni. Dopo la laurea, avendo ottenuto una borsa di tirocinio all’estero, ho lavorato per qualche anno in un atelier di architettura a Lisbona. Ho collaborato come docente e praticato attività di ricerca nell’ambito del Disegno e Rilievo dell’Architettura nelle Università di Padova, Reggio Calabria, Siracusa e Venezia. Ho coordinato diversi workshop e partecipato ad esposizioni inerenti il disegno dal vero, l’urbansketching e il “carnet de voyage”, nelle gallerie di Lisbona, Santo Domingo, Milano, Venezia, Cuneo, Ferrara e Catania. Attualmente sono docente di Disegno Tec. e Prog. II presso ABADIR Accademia di Design e Arti visive di Catania. Sono socio fondatore del gruppo di architetti semi()atelier».
Qualche particolarità sulle tue opere e cosa vuol dire per te disegnare?
«Come supporto per il disegno utilizzo il carnet de voyage, il diario da viaggio, una custodia in cui trattenere il tempo del viaggio, ciò che guardo e/o immagino nel quotidiano. Disegnare aiuta a guardare la realtà che mi circonda, osservarla con lentezza, consumarla attraverso uno sguardo che seleziona ciò che solo l’occhio riesce a catturare, senza zoom, teleobiettivo, cannocchiali, altri artifizi».
Quali sono i soggetti che preferisci raffigurare?
«Sono un disegnatore urbano, ma i miei interessi di “consumatore” del reale, spaziano anche nel disegno di paesaggio, naturalistico e del ritratto».
Come nascono le tue creazioni?
«Da “viaggiatore immobile” disegno molto nel mio spazio domestico, utilizzando il mio piano di lavoro, il mio tavolo da disegno, come superficie “infinita”, per inventare, esplorare, scoprire, mondi che non ho mai visto, che scaturiscono dal mio universo onirico, dalla mia immaginazione, dal sogno, dal visibilio».
Quale tecnica prediligi?
«In merito alla tecnica, riconosco da qualche tempo che è essa stessa che guida la mia mano seguendo le parabole stagionali e atmosferiche. Utilizzo tecniche e strumenti “secchi” come la grafite, il carboncino, la matita in inverno, mentre il mio percorso si fa lieve, trasparente, fluido, luminoso, sospeso, libero con l’acquarello durante la stagione estiva».
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«Riguardo i “progetti per il futuro”… penso che la pratica del disegnare si ripiega molto sul tempo presente senza pensare molto al futuro. Forse, il momento dell’arte, in genere, non pensa al futuro. Credo che, nel caso del disegno in quanto tale, effimero, trasbordante, leggero, incerto, transitorio, sfugge alla “cornice”, a diventare icona, quindi non è senza futuro. Nell’atto in cui si disegna il presente è immenso. Non si proietta al futuro ma, forse, ha una destinazione finale. Ricordando le parole di J. Berger: “Disegno. Me la prendo comoda. Ho tutto il tempo del mondo… Noi che disegniamo non lo facciamo solo per rendere visibile qualcosa agli altri, ma anche per accompagnare qualcosa di invisibile alla sua incalcolabile destinazione”».
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