E’ ormai «Tempo di mare e di granite al limone…» (cit. Carmen Consoli).
Siamo giunti al periodo più caldo dell’anno, nelle città c’è molta afa e la consuetudine di fuggire al mare nei ritagli di tempo, torna con impeccabile puntualità, e diventa quasi una priorità, nonostante i problemi relativi alla pandemia.
Ascoltando delle sensazioni personali, credo che il momento migliore di una giornata trascorsa al mare, sia il tramonto. Se si ha anche la fortuna di godere di un mare calmo, il misticismo e la tranquillità dello spirito possono manifestarsi nell’animo di chiunque. Il mare può essere considerato, assieme alla terra, un prolungamento di noi stessi, interrotto dal cielo, che rappresenta uno slancio verticale verso la purezza.
Proprio su questi temi rifletté tantissimo Piet Mondrian, un pittore olandese che abbracciò una dottrina filosofico-religiosa molto particolare: la Teosofia.
Tale dottrina tendeva a combinare la conoscenza mistica con l’indagine scientifica, un sincretismo piuttosto insolito.
Per Mondrian, la ricerca stilistica fu strettamente connessa a quella spirituale, e infatti dopo l’incontro con il filosofo Mathieu H. J. Schoenmaekers, giunse ad abbracciare definitivamente il suo mondo spirituale e interiore.
Schoenmaekers sosteneva infatti, che la realtà si risolveva in un continuo rapporto tra opposti: luce e tenebre, attivo e passivo, maschile e femminile, verticale e orizzontale (come il cielo e il mare).
Così Mondrian, di origine calvinista (l’ambiente in cui era cresciuto aveva queste radici, poiché il padre era un severo predicatore) decise di svecchiare la sua religiosità, e sostituirla con un’adesione radicale ai circoli teosofici.
Diversamente dal Calvinismo, orientato più verso il classico “mea culpa”, le discipline teosofiche tendevano al perfezionamento dell’individuo, il quale non avrebbe più dovuto funestarsi col passato, ma al contrario avrebbe dovuto rivolgere l’attenzione alla costruzione di un nuovo futuro, tramite un perfezionamento di sé e del mondo.
Di Mondrian infatti si narra che vivesse in un ordine maniacale, che non potesse sopportare la vista del colore verde delle piante, che non leggesse quasi nulla e che temesse ogni tipo di distrazione, compreso il matrimonio.
Alla maturità artistica giunse molto tardi, e l’opera di svolta in questo senso, fu il trittico “Evoluzione” (del 1910-1911), dipinto quando aveva già trentanove anni.
La Composizione VI, risale al 1914, praticamente ai suoi esordi, e già notiamo la sua radicale semplificazione formale indirizzata ormai verso un inesorabile astrattismo.
La sua si traduce, come un’incessante ricerca di equilibrio tra le forze terrene, e quindi gli istinti più bassi che governano il corpo, e quelle spirituali che al contrario ci elevano.
Solo dopo che ebbe fondato la rivista De Stijl con Theo van Doesburg, Mondrian giunse al suo stile più noto: una griglia di ortogonali nere che ospitano quadrati campiti in maniera piatta, colorati cioè con i toni fondamentali. Dal punto di vista del colore, le sue opere narrano come l’individuo, dalla sua primigenia appartenenza al mondo caotico della natura (rappresentato dal verde) e degli istinti (il rosso), a cui però lo spirito resta esterno (il blu), passi attraverso l’attività meditativa (il giallo) ad assorbire lo spirito in sé, e a emarginare gli aspetti della natura fuori di sé. Questo è il cammino che, sia il mondo, sia il singolo, (secondo Mondrian) sono tenuti a percorrere, in un’ottica teosofica.
Tornando al nostro tramonto in spiaggia e riflettendo sulle opere di questo grande artista, si potrebbe addirittura pensare ad un esercizio per la mente e per lo spirito: per prima cosa spegnere per un po’ lo smartphone e diventare parte del tutto, ovvero parte integrante della natura; abbandonare il corpo scegliendo arbitrariamente tra la posizione verticale o quella orizzontale, seguendo esattamente lo schema ripetitivo ideato dall’artista. Il primo vero ostacolo che impedisce un reale riavvicinamento allo spirito e alla natura è infatti proprio il nostro telefono e questa nostra mania di immortalare tutto, anche quelle cose che sono obiettivamente inafferrabili.
Essere dunque semplicemente, linea verticale od orizzontale chiudendo gli occhi; ciò ci permetterebbe di realizzare un contatto vero, concreto con noi stessi.
Buone vacanze e buon tramonto.
a cura di Maria Rosaria Cancelliere