Quest’anno la primavera ha già fatto il suo timido ingresso. Incerta si è manifestata attraverso i suoi incantevoli colori, e forse molti di noi non si sentono ancora pronti ad accoglierla. Da sempre questa meravigliosa stagione funge da Musa per poeti, scrittori, artisti, cantanti che difficilmente lasciano i propri sentimenti inespressi dinanzi a cotanta bellezza. Con molta probabilità, ci ritroveremo a passeggiare tra i mandorli in fiore, magari portando il cane al parco, oppure ad osservare, enormi distese di verde durante un viaggio. A proposito di sentimenti espressi attraverso una qualsiasi forma d’arte, potrebbe accadere di risvegliarsi -tanto per citare la nostra rubrica- come per un incantesimo, (in questo periodo dell’anno) in un quadro di Vincent Van Gogh, il Genio isolato, fragile, incompreso, proprio a causa delle sue singolari sensazioni, espresse attraverso una pennellata che io, personalmente, definirei “vibrante”, viva, attiva, pulsante. Il modo di dipingere di Vincent risulta, proprio per questo motivo, intenso, vibrante, animato da uno spirito, mosso da una miriade di sentimenti. E’ una pennellata quasi gestuale, che perde di vista il metodo, lo studio, l’immagine oggettiva, la realtà, per farsi guidare solo ed unicamente dal cuore e nient’altro. Come potrebbe accadere a numerosi artisti, la sua esperienza di pittore, cominciò abbastanza tardi, e principalmente si svolse da autodidatta. Rifiutato dalle Accademie alle quali si era proposto, egli rimase un artista piuttosto isolato, da giovanissimo fu addirittura un Pastore protestante (in Belgio), seguendo le orme del padre. Proseguì per un po’ di tempo questa sua attività pastorale in Olanda, spingendosi verso i luoghi più remoti e miseri di questo Paese. Vincent era un uomo spirituale, alla continua ricerca di se stesso e di un posto nella società, motivo per cui, prima di effettuare il suo «patto di sangue» con l’arte, si dedicò ad innumerevoli attività. Le sue prime opere risalgono attorno al 1885, periodo in cui risente moltissimo del Realismo sociale di un Courbet, o di un Millet (corrente niente affatto estranea ad un certo impegno politico e sociale). Il fratello Theo era l’unico a sostenerlo e soprattutto a finanziare i suoi progetti. Testimonianza importante di questo forte legame sono le lettere, alcune molto commoventi, attraverso le quali Vincent esprime tutte le sue sensazioni, talvolta anche le sue intenzioni circa i quadri che intendeva realizzare. In particolare in una lettera egli sente di avere pochissimo tempo a disposizione (quasi un presagio funesto della sua fine) e, proprio per questo motivo, prende coscienza di dover concentrare tutti i suoi sforzi per lasciare un segno del suo passaggio sulla terra. Lo sentiva come un vero e proprio dovere morale, una specie di missione a cui adempiere prima di morire. Nel Ramo di mandorlo in fiore, realizzato a Saint Rémy nel 1890 (anno della sua morte) la forma e la realtà, passano attraverso la lente deformante del suo stato psichico, giunto oramai alle estreme conseguenze. L’opera fu certamente ispirata, in parte dalle stampe giapponesi, che egli tanto amava e collezionava. Vincent concentra tutta la sua attenzione su un solo ramo, ignorando l’intero albero, e riesce a cogliere con incredibile tenerezza i primi germogli e i fiori, come se questi fossero un miracolo sotto gli occhi di tutti: una visione mistica ignorata dal mondo intero. I colori sono impregnati di una luce divina, miracolosa, commovente che va dai toni del bianco, (i petali sono quasi perlacei, e si stagliano in un cielo blu intenso), per arrivare a quelli turchesi. Sceglie questo ramo come simbolo di vita, uno dei primi alberi in fiore, che nel soleggiato sud di Saint Rémy, in quel febbraio, annunciava l’imminente primavera. Vincent non riuscì a terminarlo poiché sconvolto da una delle sue crisi, ce ne accorgiamo da alcuni rami rimasti allo stato di abbozzo iniziale. Quell’anno stesso morì, lasciando un enorme quantità di opere realizzate in pochi anni, come una missione. Nemmeno le sue violente crisi riuscirono a spegnere il suo incredibile amore per la natura, manifestazione tangibile della sua spiritualità e religiosità oramai lontana da Chiese e luoghi di culto, ma viva e vibrante attraverso un ramo fiorito, o se vogliamo attraverso le dolci carezze del venticello primaverile.
a cura di Maria Rosaria Cancelliere