Giorgio De Chirico, 1910.
Siamo finalmente giunti in autunno, il caldo torrido di questa estate ci ha messi a dura prova.
L’estate del 2021 è stata infatti considerata dagli esperti, tra le più calde degli ultimi due secoli. Un’anomalia evidente soprattutto nel mezzogiorno d’Italia, che ha prodotto numerose conseguenze come gli incendi, scoppiati un po’ dappertutto.
Le riflessioni in questo autunno dunque non mancano, e la stagione tanto attesa ci riporta ad un’agognata normalità.
Passeggiando per le strade e per i parchi, noteremo una luce diversa, meno infuocata ma ugualmente intensa: è la bellissima luce autunnale che dona agli oggetti che vengono colpiti, un’identità tutta nuova.
Da sempre i colori autunnali inteneriscono persino gli animi più freddi.
Immaginate cosa potrebbe accadere nel cuore delle persone più sensibili. A tal proposito per esempio, Van Gogh scriveva: “finché ci sarà l’autunno, non avrò abbastanza mani, tele e colori per dipingere la bellezza che vedo”.
Non possiamo far altro che confermare, la stupefacente bellezza di questa meravigliosa stagione, che io personalmente definirei “pittoresca”.
I pomeriggi diventano “sfuggenti”, e viverli sempre più complicato, dato che “le giornate si accorciano”. Ci torna anche alla mente, un famoso testo del maestro Franco Battiato che si intitola “Aspettando l’estate”, un capolavoro della musica italiana. Anch’egli scrivendo le sue canzoni si lascia suggestionare dall’avvicendarsi delle stagioni. E’ facile constatare come il concetto di ut pictura poësis, torna rafforzato in ogni tipo di espressione artistica, la sua traduzione è letteralmente: “come nella pittura così nella poesia”. E’ una nozione molto interessante, si tratta di una locuzione latina che riporta un famoso postulato, messo per iscritto da Quinto Orazio Flacco. Ci sono delle massime che mai si disperderanno con il tempo, poichè corazzate da una sorta di eterno ritorno.
Una delle opere che potrebbe tranquillamente ricreare delle suggestioni autunnali, è il famoso dipinto dell’artista Giorgio De Chirico intitolato “Enigma di un pomeriggio d’autunno”.
In questo bellissimo periodo dell’anno, potremmo riviverne addirittura la stessa luce, gli stessi metafisici colori.
Si tratta di una delle primissime tele che furono esposte al Salon d’Automne di Parigi del 1912.
Non una foglia che cade, né un albero segnalano l’arrivo dell’autunno. In questa meravigliosa opera fa da protagonista qualcos’altro: la luce. Siamo di fronte a un dato veramente astratto e impercettibile, espediente di cui si serve l’artista per trascinare, coinvolgere e alla fine confondere.
Tuttavia nell’edificio antistante potremmo riconoscere l’imponente Basilica di Santa Croce a Firenze, ma anche in questo caso, l’estrema semplificazione, vuole comunicarci qualcos’altro: l’attenzione al dato atmosferico e ancora una volta alla luce. De Chirico evita quindi di perdersi in futili ornamenti o in particolari inutili, per concentrarsi di più su quegli aspetti non immediatamente riconoscibili e percettibili, aspetti che fanno da legante al nostro atavico rapporto con la Natura.
Relazione che però stiamo perdendo, interrompendo, spezzando volontariamente o involontariamente, si spera non in maniera irreversibile.
In questo senso dunque, diventa inevitabile ricominciare ad ascoltare se stessi, tornare a rinsaldare il proprio rapporto con la natura delle cose; e se farlo da soli, può risultare difficile, farlo attraverso un intermediario come l’artista, può tornare utile e indispensabile.
Chi è dunque l’artista? E’ quel mediatore infallibile che, attraverso i suoi strumenti, ci permette di ricucire quel rapporto primordiale con il ventre della terra.
a cura di Maria Rosaria Cancelliere