N. 09 – XII.2022 “Fotografia Nuda”
Testi di Alessandro Russo-arph.it
Hai certamente presente cosa sia una scenografia: un accurato ambiente che serve a contestualizzare un’opera teatrale o una performance. Una scenografia è lo strumento che il regista ha per guidare il pubblico all’interno di una storia, per dare dei punti cardinali nei quali ritrovarsi.
Mi ha sempre affascinato la progettazione di una scenografia: deve essere finta, ma anche reale. Abbastanza finta per farti assaporare sempre la maestria dei teatranti, abbastanza vera da farti scoprire che il mondo nel teatro, se sai farcelo stare, ci entra almeno un paio di volte. Il rapporto con le immagini si deduce quando capiamo che una scenografia è di fatto una fotografia in grande formato che riempie lo sfondo del nostro campo visivo e ci permette di individuare il ‘dove’, il ‘quando’ e forse anche il ‘perché’ di quello che stiamo guardando.
In un teatro si accede con una certa predisposizione, si accetta di dare libero sfogo alle proprie emozioni accettando che le immagini possano raggiungere angoli nascosti del nostro inconscio. A teatro portiamo il nostro background di spettatori incalliti e lasciamo che l’arte della comunicazione visiva padroneggi nella sala, offrendoci un percorso emozionale che avrà senza dubbio un impatto sulla nostra identità (o almeno quella è l’idea di qualunque autore). La relazione tra fotografia e teatro, così come in senso largo tra fotografia e scenografia, è sottile: le luci, i soggetti, le composizioni ed i tempi sono il prodotto di una regia e rispondono in ogni istante ad una domanda cardine: ‘sarebbe lo stesso se accadesse in un altro modo?’.
Questo quesito teatrale è lo stesso che io mi pongo in tanti aspetti della mia vita, professionale o privata, perché mi aiuta a condensare il pensiero e sintetizzare una scelta. È la domanda che mi pongo quando scrivo un testo e seleziono una serie di parole, oppure quando decido di inquadrare un soggetto in perfetta prospettiva centrale. Cosa accadrebbe se una parola fosse diversa, o se il taglio anziché centrale fosse di tre quarti?
La risposta può essere essenzialmente di due tipi:
- Il primo: non cambierebbe niente. Il che equivarrebbe a rendere meno potente la scelta di prima. Se cambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia, quando proviamo a cimentarci in un gesto artistico abbiamo un problema. In questo caso la casualità è il padrone del gioco e la scelta che sto compiendo è frutto di illusoria autonomia.
- Seconda ipotesi: se la risposta alla domanda di prima è ‘no, non sarebbe lo stesso’, ovvero ‘se cambiassi una virgola, il mio pensiero potrebbe diventare l’opposto rispetto a quanto avevo in mente’, ci troveremmo davanti alla perfetta simbiosi tra comunicazione e attività artistica.
In pratica è come se dicessi: voglio esprimermi in questo modo, e così soltanto. Perché se qualcosa mutasse, il ponte tra me ed il pubblico comincerebbe ad oscillare, spezzandosi rovinosamente.
Tornando alla fotografia ed applicando la regola del ‘cosa accadrebbe se’ è molto facile intuire come sia complesso e sfidante determinare lo stile e il livello comunicativo di un’opera. Conosco tanti fotografi che questa domanda non se la pongono (perché è faticoso sostenerne il peso) e si rivolgono ad un pubblico che non ha gli strumenti per rendersi conto di subire l’immagine, invece di essere parte attiva del suo percorso di attività comunicativa.
Bisogna tornare all’esempio del teatro di prima, essere emotivamente predisposti a farsi trasformare dalle immagini, e di rimando obbligare chi le propone a lavorare di più sula costruzione di un’opera che deve avere nella sua pancia un’ottima scenografia, un’invidiabile copione, una luce performante e soprattutto attori di carattere.
‘Sarebbe lo stesso se accadesse in un altro modo?’
È la migliore eredità che posso lasciare ai lettori che con costanza hanno seguito il mio percorso e che si sono posti (e mi hanno posto) tante domande per cercare di alimentare la propria curiosità.
Chiediamo alle immagini di mostrarci come apparirà il mondo, ma che lo facciano sempre con audacia e spirito innovativo. Per raggiungere una vetta bisogna camminare, riposare, ed infine rimettersi in viaggio.
E quindi, buon viaggio.