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Antitesi in bianco e nero

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N.04-V.2022 “Fotografia Nuda”
Testi di Alessandro Russo-arph.it

Io le fotografie in bianco e nero credo di amarle in modo viscerale. Mi parlano, mi avvolgono, mi entrano nella testa. Il bianco e nero per me ha un fascino antico, tocca la sfera dei ricordi, mi aiuta a concepire l’immagine come un’opera molto più che con l’aiuto del colore. È chiaro che si tratta di percezioni personali, legate al mio trascorso. Quello che più mi intriga è la capacità di certi autori di pensare un’immagine in bianco e nero. Riflettiamoci un attimo, è come provare a pensare in un’altra lingua, come scrivere con la mano opposta a quella abituale: voglio dire che pensare in bianco e nero significa osservare una scena e percepirne le ombre e le luci ragionando già in scala di grigi. Lascio qualche istante per rifletterci… guardo un albero nella sua bellezza e verdeggiante fierezza, tutto quello che noto sono i giochi di luce che filtrano tra i rami, i chiaroscuri nelle roventi radici al sole, la rotondità del tronco e le sfumature delle trame della corteccia in controluce. Il verde della chioma passa in secondo piano: non vedo colore, ma solo migliaia di frammenti danzanti al vento che oscillano in un cielo grigio che aspetta solo di essere contrastato e venire fuori in un bellissimo scatto in bianco e nero.


In foto: Realtà Virtuale, 2018 | Alessandro Russo, arph.it

Tutto ciò rappresenta una prospettiva incredibilmente complessa, un modo artigianale di estrarre dalla realtà una visione astratta. Non fermarsi all’apparenza delle cose, ma scavare in fondo e guardare tra le righe: ci vuole talento, ma ci vuole anche tantissima pratica. Si, perché il bianco e nero è astratto per definizione, non lo percepiamo, lo traduciamo. Lo inventiamo ogni volta.

Tutte le immagini naturalmente devono avere un impatto emotivo importante affinché io le senta mie, me le possa cucire addosso, me le appunti da qualche parte e perfino abbia la fantasia di averle prodotte io: provando quella sana ed ambiziosa invidia per quegli autori tanto attenti da raccontare il proprio mondo con una sola ed infinita immagine.

Trovo che il bianco e nero sia un registro sul quale tarare la sensibilità di un autore. Su questo assioma qualche anno fa ho basato la mia produzione fotografica: per un paio d’anni ho impostato la fotocamera in monocromatico producendo dei file originali in bianco e nero, ponendomi un limite espressivo che ho creduto fosse uno step formativo. Una scelta un po’ forzata e, a posteriori anche inutile, ma che mi ha permesso di calarmi nella parte e sentire più vicini quei fotografi del passato che ho tanto amato e dai quali volevo ricevere per osmosi un pezzetto di concretezza quando si tratta di produrre delle vere fotografie in bianco e nero. Ho tirato in ballo la verità, perché siamo spesso chiamati ad indentificare una fotografia come l’oggetto vero per antonomasia. Crediamo erroneamente che la fotografia sia come un giudice, impeccabile e terribilmente reale nei suoi obiettivi. Sbagliamo, sempre. Ancor di più se tiriamo in ballo il bianco e nero che tutto è tranne che vero, nel senso etimologico del termine.

Escludiamo per un attimo tutte quelle opere che vengono trasformate in bianco e nero a colpi di de-saturazioni in postproduzione, che vengono mescolate in mille salse e poi alla fine convertite in scala di grigi per dare quel tono retrò. Spesso perfettamente in linea col grigiore dei contenuti pseudo-originali che si vogliono propinare al prossimo. Eliminiamo perfino quelli del ‘faccio il reportage’, e via con una trafila infinita di fotografie sottoesposte che dovrebbero in qualche modo riprendere il lavoro dei fotogiornalisti degli anni 60. Loro però (i fotogiornalisti) avevano come fine ultimo il racconto di un’epoca attraverso l’unico mezzo a disposizione: non sceglievano, non attuavano una scelta artistica, non decidevano di scattare in bianco e nero, avevano a disposizione solo quello. Insomma, le categorie che producono immagini che anche a colori direbbero la stessa cosa sono da scartare quando si vuole puntare all’utilizzo del bianco e nero come scelta imprescindibile. Mi piacerebbe trasmettere nel mio piccolo un’idea di autore che nulla ha a che fare con scelte casuali. Chi utilizza il bianco e nero in modo evocativo, lo fa in antitesi rispetto all’utilizzo che ne fa la moda o lo stile imposto dai social, che utilizzano un linguaggio formale piuttosto che un altro in funzione, ad esempio, della scatola scelta per inquadrare un profilo web.

La domanda che mi faccio (e che vi faccio!) risuona come una nenia nella mia testa ogni volta che comincio a scattare: sei proprio sicuro che questa sia adatta per un buon bianco e nero?

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