N.02-III.2022 “Fotografia Nuda”
Testi di Alessandro Russo-arph.it
Sia la Luce, e la Luce fu!
Ce la ricordiamo bene questa breve sequenza narrativa, no?
La Genesi ha sempre avuto un certo fascino su di me: immaginare lo schiocco di dita, la fatica dell’ideazione, del progetto, della creazione. Un lavoro da supereroe, un lavoro da divinità. Qualche tempo fa ragionavo in modo scherzoso con un amico: Dio il primo giorno della creazione si impegna moltissimo, a conclusione delle sue otto ore sindacali dona all’umanità la luce ed il conseguente concetto di tempo. Letta così, senza fronzoli e senza troppe velleità teologiche, sembrerebbe che l’Altissimo stesse pensando proprio ai fotografi. Ok, sto forzando un po’, lo ammetto… ma seguimi per qualche altro istante. Luce, tempo: due elementi incredibilmente essenziali per la vita di tutti. Due punti focali per chi produce immagini. Quasi riesco a vederlo, lì seduto su un pianeta a pensare al creato, ma prima di tutto a come avrebbe potuto fare per renderlo appetibile agli occhi dei futuri osservatori. Quasi come se l’umanità fosse il suo pubblico, una fiumana di gente presa a guardare ogni centimetro quadrato di quella immensa galleria d’arte che ha fatto in modo di farci trovare sotto i piedi. Tra i mille modi che un creativo potrebbe escogitare, Lui ne ha scelto uno indiretto: lasciamo che siano i giochi di luce a descrivere la mia l’opera – mi sembra di sentirlo. Lasciamo che sia il susseguirsi delle ombre, da morbide a dure, a scandire il giorno e la notte, le stagioni e così via.
Lasciamo, insomma, che sia la potenza di quel fluido invisibile a definire la tridimensionalità di tutto, che possa la Luce essere il fondo scala sul quale verificare la potenza comunicativa di quello che osserviamo. Non vorrei sembrare troppo accademico ma in fotografia – così come in architettura, scultura, pittura e in tutti gli altri studi plastici di volumetrie e forme – la luce è uno strumento incredibilmente democratico. Azzera l’economia che gira attorno alla disciplina, fatta anche e soprattutto di becero marketing
e realtà inutilmente commerciali, per dare potenza a chi le immagini le vede prima ancora di crearle, a chi le ha stampante in mente e non deve far altro che riprodurre fedelmente un’idea grazie al chiaro-scuro. La luce rappresenta nel mio fantasioso discorso il punto di tangenza con l’opera della genesi: si, perché il fotografo non è che proprio crei la luce, ma la trasforma, la modifica, la piega, la sfalda, la comprime, la nebulizza perfino. Riesce a trattenerla fino a farla esplodere, fino a sentirsi Dio, fino a produrre un’immagine che potenzialmente può diventare un mattone della storia ed essere trasmessa ai figli dei figli, dei nostri figli. Colta la provocazione? C’è così tanta sacralità nella gestione della luce in fotografia che quando mi capita davanti qualche foto con tette e culi perfettamente illuminati, ma piatti e senza tridimensionalità mi viene da piangere. Ma mica per i contenuti eh (non facciamo errori da dilettanti!), quanto piuttosto per il potenziale sprecato. Per le opportunità mancate di trasformare corpi in statue, dandoli in pasto all’eterna bellezza della storia. Mi permetto di citare un grande architetto ed intellettuale del secolo scorso, ripercorrendo un aforisma molto famoso, che tanto ha insegnato a generazioni di artisti. LE parole sono di Charles Jeanneret, pseudonimo di Le Corbusier:
L’architettura è il gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi raggruppati sotto la luce. I nostri occhi sono fatti per vedere le forme nella luce: l’ombra e la luce rivelano queste forme; i cubi, i coni, le sfere, i cilindri e le piramidi sono le grandi forme primarie… La loro immagine ci appare netta… E senza ambiguità
Il nostro cervello è un organo complesso, ma anche amante della sintesi: e dunque tende a scomporre quello che gli diamo in pasto in forme semplici, in linee essenziali, concetti chiari. Imparare a fotografare con chiarezza passa attraverso l’utilizzo complesso della luce: la comunicazione è come il nostro cervello, ha bisogno di informazioni semplici per esistere. Ma solo chi è in grado di sintetizzare la complessità della disciplina fotografica in pochi e chiari gesti è destinato a diventare Dio.