Tina è un’artista poliedrica, usa diverse tecniche e spazia dalla pittura, alla scultura, al tatuaggio. Il suo stile varia in base al suo stato d’animo, tutto quello che realizza è una necessità di essere.
Breve presentazione.
«Agata Colao, conosciuta come Tina, artista autodidatta moderna. Nasco a Crotone nel 1983. Affetta da una patologia autoimmune cronica e degenerativa con conseguente perdita visiva totale all’occhio destro e parziale al sinistro, armata di stucchi, acrilici, spatole, oli e pennelli, mi confronto con un mondo di stimoli infiniti che reinterpreto e riproduco su tela, dove nulla è dato al caso e dove grumi di colore riassegnavo ordine nel tumulto degli eventi».
Quando hai deciso di dedicarti all’arte.
«In realtà non ho deciso di dedicarmi all’arte, è stata l’arte che è venuta da me, in quanto si è presentata come una necessità per sopravvivere alla vita, alla mia patologia, alle mie idee. È stata una cura e una continua espressione di me stessa. Creo arte da quando ero bambina e crescendo ho sperimentato tecniche sempre nuove».
Che tipo di tecnica usi.
«Sono un’artista poliedrica, uso diverse tecniche e lavoro in diversi campi, dalla pittura, alla scultura, al body painting, al tatuaggio. Lavoro anche la ceramica e mi sono dedicata diverse volte alla realizzazione di scenografie e costumi per il teatro. Dipingo con quasi materiale: acrilico, penna, caffè e tutto ciò che mi passa tra le mani».
Come descriveresti il tuo stile.
«Il mio stile lo associo al camaleonte, un animale capace di mutare colore ogni qualvolta si avvicini a qualcosa. Lo stile varia in base a chi mi sta vicino e a cosa mi sta vicino. Varia in base al mio stato d’animo. Non riesco a caratterizzarmi in un solo stile, ne ho di diversi, come il mio modo d’essere. Riesco a passare dal realistico all’astratto durante una sola giornata. Non prediligo uno stile, ma una necessità di “essere” nel momento cui occhi, mani e cuore si uniscono nel momento in cui creo arte».
Come nascono le tue opere.
«Le mie opere nascono come quasi necessità primari della vita, nascono dal bisogno di raccontare me e il mondo che mi circonda. Nascono da un battito cardiaco accelerato che mi dice di esprimere un pensiero, un sentimento in modo visibile. Le mie opere nascono dalle difficoltà della mia vita, ho il 50% di un occhio solo che funziona e quando sono sola provo rabbia e questa rabbia la trasformo in creatività, in un’opera unica ed irripetibile, perché è personale e realistica».
C’è un’opera cui sei più legata?
«L’opera alla quale sono particolarmente legata è “Riassunto di me”, un trittico polimaterico realizzato durante il periodo più buio della mia vita. Ho avuto emorragie negli occhi, i nevosi della mia retina sono esplosi e la mia visione era un liquido di colore marrone che non mi ha permesso di vedere quasi niente durante la realizzazione di quest’opera. L’occhio destro era completamente cieco e il sinistro vedeva la realtà distorta, il campo visivo era notevolmente ridotto, le linee dritte erano mosse e sfocate e c’era un velo grigio che mi permetteva di vedere il 50%, quello che ami è rimasto oggi della mia visione. Per realizzare quest’opera ho scelto dei materiali che sono riuscita a lavorare “toccandoli”. Il “Riassunto di me” parla del mio sangue, malato, da 30 anni, in quanto sono affetta da una patologia autoimmune cronica e degenerativa. Il mio cuore stanco di gomma, di ferro, di carne. Il mio occhio pieno di cicatrici. Un occhio rimasto cieco dopo vari interventi chirurgici. La mia ragione di tristezza e rabbia».
Un libro, un film, una canzone che ha influenzato la tua arte?
«Molti anni fa mi capitò sottomano una biografia di Frida Khalo, un’artista messicana fuori dagli schemi, capace di vivere e creare opere memorabili nonostante i suoi problemi di salute. Me ne sono innamorata».
Cosa non deve mai mancare mentre lavori?
«Il caffè. Ho una capacità di lavorare con qualsiasi mezzo che ho a disposizione. Una sera realizzai un ritratto con l’olio del vasetto di peperoncini che avevo sul tavolo, mentre ero con amici. Non ho un oggetto in particolare che devo avere per realizzare arte, mi piace fare arte in ogni dove, dal mio laboratorio che poi è anche casa mia, alle strade, dove la gente passa presa da mille pensieri, il lavoro, i soldi, la famiglia».
C’è qualche progetto in particolare a cui stai lavorando o vorresti realizzare?
«Sì, sto lavorando ad un’istallazione interattiva su quello che vedo/non vedo. Sto riproducendo opere capaci di proiettare in qualsiasi normovedente la mia vita, dove anche ore semplicemente la spesa al supermercato diventa una lotta».
Una curiosità prima di lasciarci.
«Come fa un’artista quasi cieca a trasformare ed interpretare la realtà con il 50% di un solo occhio? Mi sembra già questa una bella curiosità».
I link dell’artista
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