Pseudonimo del brillante street artist che vive la sua carriera artistica nell’area dell’Appennino Reggiano.
Chi è Tackle Zero?
«E’ l’evoluzione, lenta, sconnessa e piena di lacune, di un classico percorso artistico. Sin da piccolino disegnavo e coloravo… i maestri e i miei genitori notarono le mie capacità artistiche, insite di un bambino distratto. Il loro consiglio fu di intraprendere gli studi artistici, ma decisi di fare tutt’altro e così il disegno e la pittura finirono come vecchi e noiosi giocattoli a prendere ragnatele in una buia e polverosa soffitta».
Cosa ti ha fatto avvicinare all’arte dei murales?
«Nel 2006 mi trovai a passare vicino allo skatepark di Reggio Emilia in via Premuda e lì vidi un graffito spettacolare di Evyl da vicino, per la prima volta… Me ne innamorai immediatamente. Rimasi tutta la sera a osservarlo e dentro di me si mosse un entusiasmo familiare ma allo stesso tempo nuovo, perché i ricordi passati sul disegno erano soppressi da tempo. Dopo quel giorno decisi di provare. Non avendo ancora un PC né internet, mi dovetti arrangiare con altro e ripresi a disegnare come potevo. Con la mia bomboletta spray provai a disegnare anch’io qualcosa sui muri».
E com’è andata?
«All’inizio è stata dura, poi i ricordi sono affiorati e ho compreso che ero più propenso a disegnare figure dal vero piuttosto che lettere, vedevo lentamente che i risultati arrivavano. Sperimentai un po’ di tutto, dal pennello allo stencil, ma ciò che preferisco da sempre è lo spray, tutto sempre disegnato a mano, solo così ho potuto migliorare la mia tecnica».
Cosa hai imparato in questi anni?
«Il tempo passa tra alti e bassi, errori, tutto da rifare, pause di riflessione più o meno lunghe, ma oggi sono diventato Tackle Zero, ho imparato una semplice e palese cosa da tutto il mio caotico percorso artistico: che non si smette mai di migliorarsi».
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