Giuseppe Tabacco

«Siamo in realtà come minuscole barche alla deriva, e non abbiamo una meta, una rotta»

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Abbiamo conosciuto Giuseppe Tabacco più di un anno fa, nel 2019. Lui era uno scenografo e pittore catanese riconosciuto a livello mondiale, ci aveva raccontato il suo lavoro e vi proponiamo qui sotto la sua intervista che ci ha rilasciato a marzo 2019.

Quali studi hai fatto?
«Mi sono iscritto al liceo artistico di Catania nel 1976. Finiti gli studi al liceo sono andato a Milano dove ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera. La scelta era stata da me pianificata già dal secondo anno di studi liceali. L’Accademia di Brera era da sempre un mito per me, molti pittori e docenti famosi nel mondo dell’arte erano passati da lì, così anch’io volevo fare lo stesso percorso».

Quali sono i campi artistici in cui lavori?
«Dopo il primo anno di studi, ho trovato lavoro presso il Piccolo Teatro di Milano, inizialmente come aiuto di scena, poi come assistente scenografo. Quegli anni sono stati molto formativi e divertenti, tutto era nuovo ed era una scoperta ogni giorno. Il primo lavoro che ho fatto col Piccolo Teatro è stato “L’anima buona” di Sezuan, di Bertolt Brecht con la regia di Giorgio Strehler e le scene di Paolo Bregni. Strehler è stata una scoperta per me, lui era una persona attenta ai giovani e molto disponibile, mentre con gli attori sul palco era sempre molto esigente. Spiegava tantissimo agli attori ogni cosa, dal perché esigeva quel movimento o una determinata intonazione. Ti faceva capire il perché o ti spiegava il contesto storico raccontando aneddoti o il profilo psicologico del personaggio, in modo che tutti potessero capire cosa stessero facendo. Era molto affascinante e istruttivo ascoltarlo, erano delle vere e proprie lezioni. Questo suo modo di fare era esteso anche alla scena alle luci, ai costumi e al suono. Questo è stato il mio inizio in Teatro. Dopo ho seguito altri spettacoli come Minna von Barnhelm, Arlecchino servitore di due padroni, la Tempesta ecc. Nel 1985 ho vinto il Concorso per giovani Scenografi al Teatro alla Scala di Milano. Lì ho iniziato a dipingere su grandi dimensioni: i fondali di tela superavano i 20 metri, ho imparato molto sul colore e la sua stesura, l’accostamento, la luce e l’ombra. Alla Scala ho conosciuto e lavorato con David Hockney, che aveva disegnato le scene per Il Flauto magico. Dopo qualche anno, ho iniziato a lavorare con lo scenografo Giulio Achilli. Con lui abbiamo dipinto numerose tele per il Teatro alla scala come esterni e molte altre per il Teatro d’Europa a Parigi. In quegli anni si aprivano nuovi spazi e la televisione era uno di questi, così ho iniziato al lavorare per le reti Mediaset e poi per la Rai, Sky. Negli anni mi sono occupato anche di eventi e di pubblicità».

Parlaci del tuo percorso artistico.
«Il percorso artistico è stato, ed è di fatto una ricerca. La prima mostra che ho fatto è stata a Milano, avevo fatto uno studio sulle tendenze giovanili, avevo preso in esame i Punk. Dopo questa esperienza, mi sono dedicato allo studio delle persone, e da lì sono passato a concepire la trasformazione, come unica condizione della vita, fatta di continue mutazioni. Elemento imprescindibile della condizione umana. Questo di fatto e stato ed è il lavoro che porto avanti da ormai molti anni».

A quale corrente artistica ti senti maggiormente vicino e perché?
«In realtà non mi sento particolarmente vicino a una corrente artistica specifica, ma sicuramente ce ne sono state molte che mi hanno influenzato. Per esempio sono stato affascinato dagli Impressionisti, che inizialmente hanno influenzato la mia pittura, ma anche il Futurismo e infine la Pop Art. Ho studiato diversi pittori che hanno avuto un peso sul mio modo di dipingere, come Egon Schiele, o Gustav Klimt, Paul Gauguin, Henri Matisse, Pablo Picasso e Andy Warhol, Keith Haring».

Cosa ti hanno trasmesso le tue esperienze lavorative?
«Il lavoro fatto in televisione è stato ed è molto stimolante. Oltre alla possibilità di incontrare e conoscere molti artisti di vario genere, come personaggi della tv, personaggi dello sport, attori, comici, giornalisti, cantanti, imprenditori, mi ha dato la possibilità di viaggiare, e questa tra l’altro è una di quelle cose che ho sempre preferito. Entrare in contatto con molte persone mi ha fatto vedere e osservare le persone in maniera diversa, viaggiare mi ha permesso di conoscere culture diverse, che mi hanno fatto riflettere molto sul genere umano. Sulla vita».

Oltre alla pittura ti sei dedicato anche alla scenografia per famosi programmi e reality show. Come avviene la realizzazione di questo tipo di progetto? Usi strumenti particolari?
«Per quanto riguarda la scenografia, il lavoro comprende una fase ideativa. Si lavora in gruppo con autori, regia e direttore della fotografia, si cerca di capire che tipo di indirizzo si vuole dare al programma, si discute dello stile da dare e a chi verrà indirizzato il programma, la fascia di persone che principalmente si vuole attrarre… Poi ci sono le esigenze tecniche che vanno esplorate e superate in modo da dare gli giusti spazi, attenzione alle esigenze registiche, per via delle telecamere, ad esempio, le luci che hanno bisogno della giusta collocazione e distanza, e lo spazio dei protagonisti che faranno il programma. Una volta messe insieme tutte queste cose si passa alla fase progettuale del programma che dovrà tenere conto di tutte queste esigenze. Il progetto dunque dovrà contenere le esigenze di tutti. Per ottenere la giusta alchimia dovrò considerare tutti questi fattori, dando poi uno stile e un carattere alla scena. Una volta eseguito il progetto si terranno altre riunioni per metterlo a punto. Infine, dopo l’approvazione di tutti, si passerà alla fase realizzativa, che include laboratori di scenografia, che seguiti da me andranno a costruire la scena. Oltre a questo, spesso si ha bisogno anche di zone arredate con mobili e oggetti di vario tipo. Dunque il lavoro di fatto comprende più fasi e più elementi da seguire, in pratica è come progettare una casa, seguire la sua realizzazione e arredarla completamente. E’ un lavoro a tutto tondo, include numerose fasi. In tutto questo bisogna avere e conoscere moltissime cose, conoscere i periodi storici, per via dei vari stili, sapere cosa usavano, come vivevano, come erano le abitazioni, come si vestivano, quali erano gli oggetti del tempo ecc, ma anche essere sempre aggiornati sulle nuove tendenze, quali architettura, arte, uso e costumi del nostro tempo. Anche qui la progettazione avviene prima sotto forma di schizzo, disegnando gli spazi e il carattere, per poi passare alla progettazione in TreD».

Quali sono i tuoi progetti futuri?
«Farò una personale alla Galleria artifact di New York a Novembre, questo è un progetto a cui tengo molto. Per il resto ho diverse cose in programma a cui sto lavorando anche con la Galleria il Triangolo di Cremona e il critico Francesco Mutti».

Qual è il tuo messaggio artistico?
«Quello che porto avanti ormai da parecchio tempo è un messaggio sociale, dove il genere umano è il soggetto principale, legato ad un’epoca dalle estreme difficoltà intellettuali, segnata da un’inconsistenza individuale mascherata da socializzazioni di massa. Consapevole o meno, ognuno di noi sperimenta questa condizione nell’illusione di comunicare realmente, di avere il comando della propria esistenza. Non è così: siamo in realtà come minuscole barche alla deriva, e non abbiamo una meta, una rotta. La vita di ognuno di noi è in continua crescita e trasformazione. Per questo nella nostra esistenza dovremmo cercare di comunicare all’esterno la bellezza che conteniamo ed entrare in contatto con quella che è racchiusa in ciò che ci circonda. Un cammino di trasformazione che ci conduca ad una espressione più libera, al fine di vivere una vita piena che ci dia la possibilità di cogliere la bellezza ovunque siamo: essere, appunto, sempre più padroni del nostro vivere. E attraverso la bellezza che possiamo ricavare informazioni dalle nostre percezioni, dalle nostre sensazioni: uno strumento per educare ed accrescere la nostra sensibilità. L’estetica in quanto disciplina della bellezza, ci insegna come utilizzare tutte le informazioni che ricaviamo dalle nostre percezioni, dalle nostre sensazioni. Estetica infatti significa esattamente sensibilità, percezione, sentimento, “percepire attraverso l’utilizzo dei sensi”. Per questo il morfismo da me creato parla di trasformazione della forma, coinvolgendo così l’osservatore che se attento riuscirà a cogliere l’essenza, partecipando attivamente alla trasformazione posta in essere dal dipinto. Essere contemporaneo credo che sia la cosa più importante che un artista debba fare, raccontare il suo tempo».

Scopri il video dedicato all’artista

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