Ivan Canu è un illustratore, critico e scrittore riconosciuto a livello nazionale e internazionale partito come autodidatta ha sperimentato tutte le tecniche tradizionali.
Presentazione iniziale di rito?
«Ivan Canu, 48 anni: il dato certo. Acquario: il dato vago. Vivo a Milano da 24 anni (nato ad Alghero, adottato da Firenze per 5 anni)».
Quali studi ha fatto?
«Liceo classico ad Alghero; laurea in Lettere moderne con indirizzo Storia dello Spettacolo a Firenze».
Ci racconti il suo percorso artistico.
«Sono stato autodidatta e quasi per caso ho seguito tecniche di illustrazione e progettazione alla Scuola del Fumetto a Milano con Gianni De Conno e Marcella Brancaforte come docenti e futuri colleghi. Ho sperimentato un po’ tutte le tecniche tradizionali, usando come pretesto le commissioni che man mano arrivavano, dedicandomi poi al digitale».
Quali sono le sue esperienze lavorative più gratificanti e perché?
«Sono molto legato alle tre fasi in cui si è sviluppato il mio lavoro: la prima, conseguenza diretta dei miei studi, come critico teatrale e di spettacolo per la rivista “Hystrio” di cui sono stato Art Director, avendo il piacere e l’onore di collaborare a lungo per diverse copertine con Férenc Pintèr e di conoscere artisti, scenografi, illustratori anche ai loro esordi (come Emiliano Ponzi, Alessandro Gottardo). La rivista e la vita di redazione mi hanno consentito di mettere a frutto gli studi universitari e confrontarmi con il mondo dello spettacolo dietro le quinte, fra trionfi e tonfi. La seconda fase, quella di illustratore soprattutto editoriale nel mercato internazionale; la terza, quella di direttore del Mimaster Illustrazione a Milano, un corso di specializzazione per illustratori nato nello studio che condividevo con Libero Gozzini e Gianni De Conno e che progetto da 10 anni in collaborazione con Giacomo Benelli. Tutte e tre queste fasi si sono intrecciate a vario titolo e in vari modi nel tempo, passando e rientrando e contaminandosi fra loro nei modi più inattesi (a volte) e creativi, ancora oggi».
Quali sono i progetti che ha realizzato a cui si sente più legato?
«Vari, per vari momenti: i libri per la CIDEB (editrice di letture internazionali della De Agostini, leader mondiale nella scolastica) e il sodalizio artistico più duraturo con l’art director Nadia Maestri, con la quale ho sperimentato linguaggi, tecniche, colori, segni sempre diversi e affrontato sfide estetiche sempre col suo pieno supporto; due libri (e un anno, il 2008) che han segnato una svolta nel mio segno e nell’uso del colore: Dracula per Rizzoli e I delitti della Rue Morgue per Prìncipi & Princìpi, esperimento editoriale coraggioso di Andrea Rauch; le copertine della serie di Manuel Vazquez Montalban e dei romanzieri russi per Feltrinelli con l’art direction di Cristiano Guerri, con il quale ho lavorato sulla sottrazione e sulla pulizia concettuale; il lavoro sul ritratto con Adriano Attus per Il Sole 24 Ore e la più recente collaborazione con Stefano Cipolla per l’Espresso; il libro “La Storia del Comunismo in 50 ritratti” di Paolo Mieli per Centauria Libri, che mi ha consentito di attraversare la forma-ritratto in ogni sua possibilità, giocando e ragionando, spingendo a maturità la ricerca concettuale ed espressiva; le copertine per Die Zeit e l’essere rappresentato da Salzman International a livello internazionale, per la spinta alla massima resa, con la massima pressione e il minimo tempo a disposizione; chiuderei con la copertina di Rolling Stone Italia su Star Wars, un divertimento di due giorni».
Ci parli del suo stile, che sicuramente la contraddistingue.
«Sono sempre stato attratto da modelli molto diversi, per la natura curiosa e onnivora del mio carattere. La formazione iniziale, da bambino e ragazzo, è stata dominata dai cartoni giapponesi su cui ho esercitato la mimesi e la ricerca della precisione nei dettagli, avendo come riferimento il fermo immagine del videoregistratore; poi, il fumetto d’autore di Toppi e di Battaglia e le copertine di Thole e Pintér. Nell’illustrazione, guardo al lavoro delle avanguardie degli anni ’20, poi ad artisti come Rubino, Czeschka, Cassandre, Cambellotti, Gruau, Bilibin, Mattioli, Pompei, Garretto, Savignac, il Push Pin Studio (soprattutto Glaser e Alcorn), contemporanei come Maggioni, Scarabottolo, McKean, Mignola, Ehretsmann, Ponzi, Kelley, Harris, Howe, Lee, Mattotti, Kunz, Bar, Zwerger, Amargo. Mi appassionano tutti i tipi di fumetto e di animazione e se devo indicare uno spunto da cui spesso prendo le idee, è il cinema di ogni epoca e genere».
Quali sono i suoi progetti in corso?
«Come illustratore, ho sempre progetti da proporre, sia per me che per allievi o colleghi, nella considerazione che il nostro è soprattutto un mestiere di comunicazione e che al suo meglio è fatto di relazioni. La mia idea dell’illustratore come figura professionale è più lontana dall’artista ego-riferito, sempre in mostra, sempre sgomitante e ansioso di piacere piacendosi e più prossima al risolutore di problemi. Come un tecnico, pur in un ambito creativo ampio. Mi piacciono le sfide e le contaminazioni, ho in gestazione un libro illustrato sugli anni Settanta; qualcosa di nuovo sui ritratti, finché mi diverto ancora a farli; uno o più libri sul cinema, che è la passione che mi porto sempre appresso».
Cambiando prospettiva, so che lei è anche critico e scrittore… cosa ci può raccontare da questo suo particolare punto di vista?
«Credo di aver seguito il mestiere di critico, perché lo sono di carattere. Non mi accontento mai, in generale e tendo ad analizzare tutto secondo l’ottica del disincanto. Invidio chi non dubita, ma non riesco a farmi piacere del tutto le certezze di fede. Ho fatto studi che mi hanno molto formato in tal senso, suggerendomi che una strada può essere scelta per istinto – se uno ne possiede uno davvero buono: ma, nel dubbio, meglio l’onere della prova, guardare a tesi diverse. Per me critico è, letteralmente, chi sta sul crinale, sul bordo e quindi nel pericolo costante di cadere. Un funambolo, se l’equilibro regge. Ma è critico anche chi “mette in crisi” una visione univoca del mondo e se stesso. Così mi piace leggere la realtà, dal passato al presente e proiettarmi su quel poco di futuro che riesco a intuire. È questo che mi intriga della progettazione, c’è sempre un dato di azzardo che è però esito di uno studio complesso e di una presa di responsabilità. Alla fine, il critico ad un certo punto è solo e sceglie consapevolmente di offrire una visione del pezzo di realtà che incontra. Per me la scrittura è un bell’esercizio di condivisione, la penso arguta e suggestiva, senza sciatterie ma pure divertente e leggera. Non a caso, come nell’illustrazione, ritraggo e intervisto altre persone, illustrandole a parole e svelandole per sottrazione. A volte penso che un pezzo che racconti una storia personale, più è reticente e suggestivo, più renda goloso il lettore. Indurre qualcuno, sconosciuto, a cercare qualcosa che ha appena assaporato è un grande potere. E qua lo zio Ben ha già detto l’essenziale a Peter Parker, altro non aggiungo».
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