Max Valerio, un fotografo che non lascia dubbi sul suo modo di vedere le cose sia nel lavoro che nella vita alla ricerca continua dello stimolo creativo.
Breve presentazione.
«Mi chiamo Max Valerio, sono nato nel 1981 a Milano, ho vissuto in varie parti d’Italia, per il momento risiedo a Brescia. Dopo essere stato bocciato due volte per condotta in due diversi istituti, ho conseguito il diploma artistico, in un altro liceo, ma dal punto di vista fotografico-video, e praticamente in tutte le cose che faccio nella vita, sono un autodidatta».
Come nasce la passione per la fotografia? E poi guardando il tuo profilo si percepisce in alcuni tuoi scatti della drammaticità, in altri invece pura energia e movimento, si potrebbe dire un’opposizione… ce ne parli?
«A 12 anni mi innamorai di un quadro cubista di Picasso, il “Ritratto di Ambroise Vollard”, successivamente ammirai i quadri di Edvard Munch, così quasi per caso. Essendo io un bambino, non conoscevo bene nessun artista, ma ci fu qualcosa in quei dipinti che mi emozionò molto e sentii dentro di me il desiderio di esprimere le mie sensazioni dipingendo e disegnando. La maggior parte delle mie emozioni legate all’infanzia e all’adolescenza sono immerse in una forma di depressione “soffocante” tanto da desiderare di non essere mai esistito.
Questo stato d’animo è sempre stato alternato a un’iperattività devastante e a un bisogno di stimoli continui che consideravo quasi più importante del cibo. E’ una cosa che accade tutt’oggi, in modo più amplificato. Mi definisco un ossimoro perché in me convivono gli opposti, sento ogni cosa come se non avessi la pelle, dall’amore all’odio, dalla follia a un’estrema lucidità. A volte invece non sento nessuna empatia verso nulla, e in quei periodi sto fermo, cosa che odio visceralmente, è come essere in gabbia. Non c’è una via di mezzo tra le due cose, bianco o nero, il grigio mi toglie il respiro e non sono in grado di sostenerlo.
Dunque è per questo che le mie opere sono sempre diverse tra loro, o meglio lo sono ciclicamente, perché la spinta nel produrre è diversa, la forma espressiva dell’opera è delineata da quello che sento. Nel 2007 circa, dopo aver bruciato decine di quadri che avevo fatto nel tempo mi avvicinai alla fotografia, fu un caso anche questo, uno stimolo diverso, vidi gli scatti di alcuni vecchi fotografi che con le loro immagini non rappresentavano soltanto la realtà, ma la raccontavano a loro modo e mi piacque da morire, così comprai una biottica 6×6 rolleiflex degli anni ’50 e improvvisai una camera oscura nel bagno di casa. Da lì in poi sono diventato un fotografo, e oltre ai miei lavori personali ho scattato e girato videoclip per tantissime band musicali. In realtà penso di aver scelto la fotografia e il video come forma espressiva perché mi porta ad avere un rapporto diretto con il genere umano che odio e amo».
Tu lavori molto nel campo della moda, come realizzi gli scatti?
«Sul set voglio la musica! Che sia classica o rock, la scelgo in base a quello che voglio provare a livello emozionale, e che voglio trasmettere a chi sto fotografando. Quando non è possibile metto le cuffie e l’ascolto da solo mentre guido il soggetto. Lavoro con la moda perché quella vera è estremamente creativa e ricca di stimoli, ovviamente non parlo di quella commerciale che si fa per mangiare o per vendere un prodotto.
La cosa fondamentale è essere chiari fin da subito con le altre persone, e questo secondo me vale in tutti i campi non solo nella moda. Cerco sempre di avere il totale spazio creativo, una sorta di carta bianca per fondere le mie idee con le richieste se ce ne sono, altre volte mi chiedono direttamente di realizzare un’idea.
Per il set fotografico bisogna capire cosa si vuol comunicare con l’immagine… prima di tutto con quale tipo di luce lavorare, se naturale o artificiale o se fonderle, perché alla fine è la luce che costruisce l’immagine, ancora prima del soggetto o della location. Si possono ottenere sapori svariati con lo stesso soggetto e la stessa location solo utilizzando luci diverse.
E’ fondamentale anche la scelta del soggetto, che si tratti di moda o altro, la risposta di un incarnato chiaro o scuro rende completamente diversa la fotografia anche usando le stesse luci e lo stesso set.
Rimane sempre comunque una parte di improvvisazione nei miei set, a volte vengo rapito da qualcosa che sto vedendo in quel momento».
Per i tuoi scatti usi diverse tecniche, ce ne parli?
«Nei primi anni in cui ho iniziato a scattare, ho sperimentato tutte le tecniche fotografiche, e le uso praticamente ancora tutte perché come dicevo prima ho bisogno di stimoli. Sono completamente diverse tra loro e mi permettono di usare linguaggi diversi, dalla poesia dei tempi lunghi e il light painting, che rimandano ad una pittura impressionista, alla luce flash ghiacciante che non lascia scampo a nessun imperfezione cutanea quando fai un ritratto ad un viso vecchio e pieno di rughe, dove quell’imperfezione è bellezza! Così come con le luci il processo è lo stesso, utilizzo tutte le ottiche dal 14 mm (anche per le foto di moda) al tele da ritratto fino al macro. Direi che non esiste un’ottica di cui farei a meno, le voglio usare tutte, ognuna racconta una cosa diversa.
Odio le “photoshoppate” in post produzione, ingrandimenti, rimpicciolimenti, pelli di plastica ecc.., insomma le falsità. Per me photoshop è indispensabile per ultimare il lavoro, ma va utilizzato per i contrasti dei colori, non per creare persone inesistenti nella realtà.
Poi la scelta dell’angolazione e la luce possono valorizzare e rendere più bello il soggetto che si sta fotografando».
Qual è il segreto per realizzare la foto o la serie perfetta?
«Sentire davvero un’emozione mentre stai scattando. Essere felice di essere lì a fare quello che stai facendo. Diventare un bambino nel suo parco giochi di emozioni, che siano divertenti o malinconiche. Non capita sempre!».
Quali progetti lavorativi hai in mente?
«I progetti che voglio sviluppare sono tantissimi, alcune idee sono lì da anni, scritte su tantissimi pezzi di carta e sono di svariato tipo. E’ per questo che dico spesso che non ho fatto ancora veramente nulla nella mia carriera artistica. Quindi per i prossimi progetti fotografici bisognerà aspettare di vedere chi si sveglierà domani in me, se il dottor Jekyll o il signor Hyde, e che pezzetto di carta sceglierà. La cosa fondamentale ovviamente sarà che ciò che verrà fatto mi faccia sentire delle emozioni forti, bianche o nere che siano».
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