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L’uso della fotografia come se fosse pittura

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Alessandro Marangon, un fotografo emiliano che attraverso il mezzo fotografico crea splendidi ritratti femminili.

Presentazione di rito.
«Mi chiamo Alessandro, ho 41 anni e vivo in provincia di Reggio Emilia, precisamente a Scandiano, una di quelle città dove ancora, in primavera, ci si può sedere e aspettare le rondini arrivare. Mi piace iniziare presentandomi così:
– sono Uomo
– sono Papà
– sono Fotografo
Proprio in quest’ordine! Perché prima di essere fotografo, sono anche altre cose per me importanti e imprenscindibili».

Quali studi hai fatto?
«I miei studi sono prevalentemente di orientamento tecnico. Vengo infatti dalla Scuola di Ragioneria, però nel corso degli anni ho anche avuto l’occasione di frequentare una scuola per grafici (o come dicono oggi… “fotomanipolatori”)».

Cosa è per te la fotografia?
«Nonostante la fotografia, per me, sia nata come gioco al di fuori dal campo artistico e accademico, mi permette di vivere un percorso che va dall’approccio generale e divertente, al paesaggio surrealista, fino ad incontrare il ritratto. E’ proprio quest’ultimo che mi dà la possibilità di usare la fotografia come fosse pittura. La fotografia mi porta a scoprire me stesso prima di tutto, a studiare e approfondire tecnicismi, fino a sperimentare e disegnare emozioni. Diventa così il mezzo per materializzare tutte quelle visioni che ho in mente e che altrimenti non riuscirei ad esternare. Un mezzo di comunicazione (quasi autobiografico) e di confronto. Una continua e affascinante scoperta, ricca di sorprese con le quali posso colorare la mia visione del mondo. Io e la fotografia, giochiamo cosi!».

Tu sei un fotografo ritrattista, come mai questa scelta?
«La passione per il ritratto nasce in un modo abbastanza insolito. Prima di fotografare usavo la tecnica pittorica per realizzare elaborati grafici, fotomontaggi o fotomanipolazione. Ho sentito poi l’esigenza di inserire persone nei miei lavori e ho cominciato a ritrarle. Inizialmente per un’esigenza puramente tecnica, per poi innamorarmene. Per me ogni scatto è un autoritratto, una terapia, un modo per dire quello che penso e per esprimermi come mai avrei pensato di poter fare».

Osservando i tuoi scatti, il soggetto femminile è quasi sempre presente.
«Il soggetto principale è quasi sempre femminile per vari motivi. In termini di praticità perché sono più le ragazze, rispetto ai ragazzi a essere disposte a farsi fotografare. Poi per me le forme della donna, le sue linee, le caratteristiche, i tratti, sono più dolci, morbidi, delicati, armonici, poetici. A qualche seminario, inoltre, ho sentito dire che è innato il fatto di sentirsi a proprio agio fotografando persone del sesso opposto. Per quello che mi riguarda, sono consapevole di essere al mondo grazie a una donna e per tutta la mia vita, sarà sempre una donna a prendermi per mano e accompagnarmi. E sarà sempre una donna che porterà, negli anni a venire, parte di me in un tempo oltre quello che posso immaginare. Una grande gratitudine e senso di protezione che ho nei confronti della donna. La mia visione di lei è quasi sempre eterea, senza tempo, perché vorrei che l’emozione restasse per sempre e magari riguardare le mie foto fra qualche anno ed emozionarmi ancora».

I tuoi scatti non solo semplici ritratti, ma piccole storie, come realizzi le tue immagini?
«I miei ritratti, oltre quelli che realizzo per studio (come per esempio sperimentare le diverse gestioni della luce), nascono quasi sempre dalle piccole cose che mi colpiscono. Prima dello scatto in sé, ci sono una serie di fasi importanti… Alla base c’è sempre un disegno abbozzato, grossolano, sintetico, ispirato da un racconto, una canzone, un’emozione. Anche se lo scatto finale non sarà proprio uguale, è con la matita, su quel foglio bianco, che “decoro” e dò forma a ciò che vorrei raccontare. Le fasi hanno uguale importanza, dalla scelta dei colori, alle forme, alla location, al mood. La parte interessante è che un’idea, in fase di costruzione, si arricchisce e spesso il risultato finale ha forme inaspettate. Ogni scatto ha il merito di avere un percorso in grado di contaminare l’idea iniziale, arricchendola».

C’è un progetto fotografico o un’esperienza che ti ha dato particolare soddisfazione e perché?
«L’esperienza che mi ha dato più soddisfazione è stata il progetto che mi ha permesso di presentarmi con il portfolio qualche anno fa. Ho fotografato mia figlia ed è stata l’esperienza più bella, il progetto più importante e la soddisfazione più grande. Volevo raccontare attraverso di lei le mie sensazioni. Cercavo il modo per poter rappresentare l’eterna lotta tra lo scegliere di restare, nella vita, in quella zona detta “di comfort”, conosciuta, sicura, ma limitata e confinata, oppure avere coraggio e saltare il recinto, verso qualcosa di sconosciuto ed inesplorato. Ho sempre pensato che per trovare nuove strade, bisogna perdersi. Così, con lei, ho proprio raccontato questo ed è stato, oltre che divertente, anche gratificante! Nello scatto centrale del progetto, c’è lei, mia figlia, in un ambiente chiuso, che incontra “l’inesplorato”, un capriolo che la fissa. Lei, invece di aver timore, lo guarda con aria di sfida ed entrambi capiscono che è il momento di andare, con coraggio. Sì, è stato il mio progetto più bello».

Quali progetti hai per il futuro?
«Ci sono tanti progetti in cantiere, qualcuno prettamente professionale, qualcun altro di soddisfazione personale. Con alcuni amici mi piacerebbe occuparmi di editoria nel campo della fotografia. Tra i desideri, facendo parte di un circolo fotografico, vorrei continuare a condividere, arricchire, contaminare le persone con quello che ho imparato, sperimentato e fatto mio. Amo infatti vedere la gioia nel volto delle persone, quando, con sorpresa, scoprono di riuscire a realizzare quello che hanno appena imparato. E’ come se sprigionassero energia positiva. Infine, tra i tanti progetti, c’è sicuramente quello di ritornare ad accarezzare la visione surreale del mondo. Non intendo avere una visione inventata o di fantasia, ma riuscire ad accostare oggetti, situazioni, ambienti che, presi singolarmente, sono del tutto normali ma, messi assieme, creano quel sapore surreale che intriga e incuriosisce. Il mio sogno è che questa diventi la mia strada, e poter un giorno esporre i miei lavori in una galleria».

Una curiosità su di te?
«Quando mi chiedono se sono un fotografo, la mia risposta generalmente fa sorridere… Non sono un fotografo, ma un appassionato d’arte che, grazie alla musica, ha bisogno della macchina fotografica per scrivere poesie! Sì, mi piace descrivermi così. Anche se, tra il dire e il fare, c’è tanta differenza e ne sono consapevole. Vorrei concludere con la frase che nel tempo è diventata il mio motto: “Esistono le cose facili… e le cose belle!”».

Scopri il video dedicato all’artista

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