Matteo Gubellini è un artista poliedrico. Nella sua vasta produzione artistica non mancano albi illustrati, opere pittoriche, poesie e canzoni. Un vero talento da scoprire!
Ciao Matteo, raccontaci un po’ chi sei.
«Mi piace partire dall’età, che è assolutamente inscindibile dalla propria storia: ho 51 anni, e non ho ancora smesso di immaginarmi come artista realizzato, anche se lavoro in fabbriche e supermercati, a causa della cronica discontinuità di un bellissimo lavoro che ci entusiasma, ci protegge dalla realtà e ci permette di crescere, ma che troppe volte ci mortifica».
Come è stato il tuo percorso di illustratore e autore di libri.
«Come disegnatore compulsivo ho iniziato quando avevo i capelli biondissimi, qualche anno dopo la nascita immagino, e poi non ho più smesso, o quasi. All’illustrazione invece sono approdato molti anni dopo, cioè dopo aver messo da parte il fumetto, mia primissima sponda di fughe e chimere. Professionalmente ho iniziato a illustrare libri e poi a scriverne anche i testi verso i 32 anni, con Bohem Press, poi con OQO, San Paolo, ed altre case editrici. Man mano che pubblicavo libri cresceva la voglia di fare altro, cioè di raccontarli, metterli in scena, e così mi sono avvicinato al teatro di figura e poi all’insegnamento».
Nel 2020 hai fondato una casa editrice tutta tua, ce ne parli? e anche perché hai avuto questa esigenza.
«Scomodincanti racchiude nel nome e nel logo il senso stesso del progetto: la necessità di disallinearsi da modalità omologate, da un mercato assolutamente avverso ad accogliere la mia voce, per ritagliarmi uno spazio nel quale invece continuare a fare ascoltare la mia voce, sotterraneamente, a chi vuole ascoltarla.
Scomodincanti mi offre l’opportunità di lavorare su stili e tecniche differenti, su poetiche differenti, in assoluta libertà espressiva e sperimentale».
Parliamo un po’ delle tue creazioni, come prendono vita.
«Processo creativo e realizzazione finale spesso hanno confini molto labili, intendo dire che è nel divenire che si sviluppano, intrecciandosi, urgenze, sperimentazioni pittoriche e finalità.
Non ho un metodo di lavoro definito, e non sono molto disciplinato, nell’accezione più scolastica. Ad esempio, se sto lavorando ad una serie di dipinti con pastelli ad olio accomunati da un tema ben preciso (magari il tipo di scenario, delle presenze ricorrenti), di solito parto da macchie, che sviluppo facendo viaggiare il colore, fino a quando davanti a me si definisce una composizione che trovo convincente, Continuo quindi definendo i dettagli figurativi e le atmosfere. Se voglio imbastire una storia di albo illustrato, invece parto da macchie che ho nella testa, e fino a quando non pigliano forma, difficilmente passo al foglio. Col fumetto mi concedo tanta “improvvisazione”, semplicemente perché non esiste uno storyboard».
Ci sono soggetti e storie che prediligi raccontare?
«Ci sono temi dai quali non mi svincolo con facilità, anche se ho diverse volte provato a farlo, e non alludo solo ad albi illustrati di cui non ero autore del testo. In realtà la nostra voce ci accompagna attraverso le esperienze, quindi cambia e assume direzioni che ne arricchiscono il timbro di inflessioni, anche se emette sempre le stesse parole.
La mia poetica e le mie storie contengono la morte; la difficoltà di stare in un mondo che soffoca l’identità in divenire; l’irrinunciabile bellezza della solitudine; la musica; il rapporto tacitamente deteriore tra adulti e bambini; contengono donne che hanno deciso di sottrarsi alle logiche della società; contengono donne avvolgenti, tentatrici e rifugi. E poi le mie storie contengono anche altre cose».
Un tuo lavoro a cui sei più legato.
«Ci sono lavori a cui non sono più particolarmente legato, e che non m’interessa neppure ricordare.
Difficilmente ritrovo cose buone nei libri fatti ma indubbiamente, e per diverse ragioni, alcuni libri continuano ad essere cruciali per me: per la tappa che hanno rappresentato, per le emozioni vissute concependoli e poi pubblicandoli, magari per quello che hanno dato agli altri.
Ne nominerò due: “Un vero leone” e “Nel cimitero”».
Sappiamo che non ti limiti ad essere illustratore e autore di libri.
«Fin da piccolo mi ero accorto che non bastava il disegno per esprimere la sofferenza e la gioia di fuggire dal mondo. Disegnare storie non era sufficiente, perché per me era limitante imboccare una sola strada verso il sogno, me ne servivano altre. Così iniziai a scrivere poesie, racconti, canzoni, e più tardi a mettere in scena le mie storie attraverso il teatro (intendiamoci, una forma piuttosto sgangherata di teatro ibrido autodidatta), e poi a fare animazioni e teatro dell’ombra…».
Crei opere su commissione?
«Beh, a parte la commissione degli albi illustrati da parte delle case editrici, in qualche occasione ho realizzato ritratti e caricature su richiesta».
Qual è il tuo messaggio artistico e cosa sogni per il futuro.
«Ciascuno ha la propria storia e le proprie esperienze, ma essendo che storie ed esperienze si mischiano nelle relazioni e nel confronto, anche i messaggi si tramandano e acquisiscono venature sempre cangianti. E questo è il mio messaggio, il mio suggerimento: di lasciarsi attraversare dalle storie degli altri, cioè di ascoltare noi stessi attraverso loro, senza giudicare mai moralmente (che è una pratica difficilissima). Se impariamo a conoscere le storie degli altri senza un giudizio morale, allora può succedere che la nostra storia ci appaia sempre più interessante, e anche le storie che inventiamo».
Una curiosità prima di lasciarci.
«Più che una curiosità, vi lascio con un accenno ai miei imminenti progetti: un albo illustrato realizzato con i pastelli ad olio, uno con gli acrilici, e poi la registrazione delle nuove canzoni. Grazie di cuore per il vostro ascolto».
I link dell’artista
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