Gabriele Maria Liborio in arte SkullaGabe è un illustratore che lavora con le forme e i colori e che porta lo spettatore all’identificazione dei soggetti senza però disegnarne i contorni.
Ciao Gabriele, per chi ancora non ti conosce, racconta un po’ chi sei.
«Mi chiamo Gabriele Maria Liborio ma tre nomi non mi sembravano sufficienti, quindi ho deciso di farmi chiamare SkullaGabe (da leggere rigorosamente come se fosse una parola italiana) o più semplicemente Gabe. Sono un illustratore grafico nisseno che da dieci anni vive e lavora a Milano. Sono arrivato in questa città forse più per necessità che per scelta ma questo cambiamento ha innescato in me una metamorfosi che ha influito sul mio modo di vedere e vivere l’arte»
Come e quando hai deciso di dedicarti all’arte e nello specifico all’illustrazione e quale è stato il tuo percorso fino ad oggi.
«Come molti altri artisti, porto con me la passione per il disegno da quando ne ho memoria e avendo avuto accesso ad un computer in età tenerissima non ho potuto fare a meno di cimentarmi già da bambino con il disegno digitale. Crescendo ho imparato da autodidatta i principali software di editing digitale e, dopo gli studi, ho cominciato a lavorare prima in uno studio fotografico, poi come grafico pubblicitario. Sono sempre stato ammaliato da ogni forma di fumetto e proprio attraverso questo mezzo ho scoperto una serie di artisti che, qualche anno prima del mio trasferimento, mi hanno fatto conoscere e avvicinare al mondo dell’illustrazione. Una volta a Milano, ho deciso di approfondire conoscenze e tecniche così nel 2016 ho studiato illustrazione alla Super Scuola Superiore di Arti Applicate e nel 2019 ho conseguito un diploma da illustratore allo Istituto Europeo di Design. Dopo il diploma ho cominciato a lavorare come freelance collaborando, tra i vari clienti, con San Pellegrino. Durante il lockdown ho riscoperto l’attaccamento alla mia città e alla mia terra natale e a capodanno 2021 ho co-fondato The Nissener, una rivista immaginaria che, sulla falsa riga delle celeberrime copertine del The New Yorker, racconta e celebra Caltanissetta, la sua storia, i suoi usi, i suoi costumi e i suoi abitanti».
Chi arriva sul tuo profilo viene travolto, a volte dal colore, altre volte dalle forme e altre dai personaggi, tu crei ogni volta un’esperienza visiva. Come nascono le tue illustrazioni a livello di idea fino alla realizzazione, qual è il percorso creativo quindi.
«Il mio approccio all’ideazione e alla creazione di ogni opera non segue sempre degli schemi ben precisi: talvolta è il frutto di complicati ragionamenti, associazioni di idee e svariate prove, a volte nasce da un input, che può arrivare dall’esterno o può essere frutto di un’intuizione interiore, che mi fa già visualizzare il risultato finale, altre volte è un po’ tutto messo insieme. Mi è anche capitato di approcciare la creazione di un’opera in modo piuttosto impostato, ben studiato e manieristico e, dopo diverse ore di lavoro, cambiare totalmente idea, quindi direzione. Lo stesso mi è capitato progettando nelle serie di illustrazioni, in sostanza il mio percorso creativo ha diverse modalità che a volte scelgo coscientemente, altre no. Mentre l’evoluzione dell’idea è sempre mutevole e imprevedibile, gli elementi che rimangono invariati sono l’utilizzo di pochi colori in tinte piatte e sgargianti contrasti cromatici con i quali gioco la psicologia della Gestalt: disegno figure di colore senza contorno che si fondono con i colori dello sfondo in modo che il cervello dello spettatore, in maniera più automatica che consapevole, possa tracciarne i contorni e identificare gli elementi contessuti nell’immagine grazie alle sue esperienze pregresse, lasciando che la percezione e l’immaginazione superino la realtà. Il mezzo che utilizzo per realizzarle è una tavoletta grafica con la quale disegno forme vettoriali: questo mi consente un’estrema cura dei dettagli e un’elevatissima versatilità del risultato finale, facilitando le eventuali modifiche (specialmente nelle commissioni) e rendendo possibile un numero di applicazioni indefinito, dalla stampa in qualsiasi formato alla pubblicazione sul web. Con le mie immagini affronto spesso temi come l’uguaglianza e la parità, donne e figure femminili sono spesso ricorrenti nelle serie che ho disegnato perché sono la mia principale fonte di ispirazione, artistica e personale».
C’è una tua opera o anche una serie a cui sei più legato?
«La mia opera preferita, solitamente, è quella che sto disegnando o che ho in mente di disegnare, probabilmente per il senso di gestazione che riesce a darmi un lavoro non ancora compiuto. Una volta terminato smette di piacermi perché trovo sempre qualcosa di “sbagliato” che non mi soddisfa, mi capita anche di stare giorni e giorni a guardare opere complete delle quali non sono soddisfatto e continuare a cambiare minimi particolari che probabilmente nessuno noterà mai. Una serie alla quale sono legato, e che custodisco gelosamente, è una raccolta di più di 50 post-it sui quali ho disegnato altrettanti personaggi degli universi Marvel e DC comics. Ci tengo particolarmente perché rappresentano la mia nascita come illustratore, il primissimo passo del cammino che mi ha portato al punto in cui sono. Riguardarli oggi mi suscita imbarazzo e orgoglio al tempo stesso: la maturità visiva che ho acquisito negli anni mi fa notare quanti errori (forse anche orrori) ci siano in quei disegnini, ciò non toglie che restano il mio punto di inizio e sono una bellissima cartina tornasole dei progressi che ho fatto fino ad oggi».
Fino al 19 aprile è possibile ammirare le tue opere in esposizione al Ğené di Milano con la mostra “Female Icons”, cosa racconta l’esposizione, come è stato prepararla e cosa ti porti nel cuore.
«La mostra Female Icons comprende una selezione di nove ritratti estratti da una serie pubblicata su instagram originariamente intitolata “Vintage Heroines”. Il suo intento è quello di celebrare le eroine delle serie TV quando ancora si chiamavano telefilm, un omaggio a personaggi che vanno da Jessica Fletcher (regina indiscussa della mostra e dell’evento ad essa collegato) a Morticia Addams, passando da Super Vicky e Wonder Woman. Pionieristiche sfidanti degli stereotipi del secolo scorso, indipendenti, ribelli, sensuali, invincibili. Un affascinante viaggio nel passato e nei colori per rievocare queste icone femminili e la loro influenza sulla società moderna. Sono molto legato a questa serie perché le donne ritratte sono le muse della mia rinascita artistica dopo un anno di inattività e, grazie alla mostra, il mio esordio fuori dagli schermi. Prepararla è stato molto stimolante, una volta selezionate le opere dalla galleria della mia pagina instagram le ho riadattate per stamparle e tagliarle 30×40 centimetri, tutte tranne Jessica Fletcher che misura 50×70 cm. Ho deciso di stampare una serie limitatissima, 2 copie per ognuna, e dopo aver scelto le cornici mi sono occupato di progettare e confezionare le targhette con le descrizioni delle opere. Ho curato l’allestimento insieme ad Elisabetta Alessio dello Studio Paparuga, titolare e responsabile del Ğené che si è occupata anche dell’organizzazione dell’evento e della comunicazione. Di questa bellissima esperienza, personale ed emotiva, resa concreta grazie alla sinergia del Ğené e di Altro Spazio d’Arte, porterò sempre nel cuore tutto l’affetto delle persone che insieme a me hanno condiviso, gioito e goduto della mostra e sono davvero contentissimo che le mie opere siano esposte in un luogo così speciale nel quartiere più eterogeneo di Milano che ha vissuto un recente processo di riqualificazione urbanistica, artistica e culturale: NoLo».
Cosa vuol dire per te essere un illustratore oggi e che rapporto hai con i social.
«Essere un illustratore, essere un artista, prima di essere un lavoro, credo sia una vocazione. Per me l’illustrazione è un mezzo di comunicazione potentissimo, un’azione molto più forte delle parole, disegnare è come un impulso incontrollabile e al contempo una necessità. Con le immagini riesco ad esprimere opinioni, concetti e ideologie molto meglio di come potrei fare con mille parole e tratto temi che, talvolta, non avrei il coraggio di affrontare in maniera diversa. Quando pubblico le mie illustrazioni sui social provo a dare una chiave di lettura allo spettatore ma la cosa che mi strabilia maggiormente, ogni volta come se fosse la prima, è conoscere quali emozioni, sensazioni e riflessioni suscitano in chi le osserva, e scoprire così nuove interpretazioni che non avevo assolutamente immaginato, trasformando le mie immagini una sorta di Passaporta (i potterhead coglieranno la citazione), un portale che conduce ciascuno in una differente destinazione. Utilizzo i social come fossero una vetrina, cominciai con DeviantArt nel lontano 2008, pubblicando disegni e foto-manipolazioni digitali, qualche anno dopo, con la grafica, arrivò Behance ma in seguito ho scelto Instagram come vetrina principale dove esporre le mie opere. Di recente, ho cominciato anche a pubblicare contenuti video su TikTok e a mostrare il processo creativo dietro alle mie illustrazioni su Threads. Ho sempre pensato che artisticamente sia importante lasciare una traccia digitale, raggiungibile da qualsiasi posto in qualsiasi momento e, con lo sviluppo di internet, i social sono diventati degli ottimi alleati per gli artisti. Di contro c’è che i social e i linguaggi comunicativi sono in continua mutazione, non è facile riuscire a creare contenuti frequentemente ed è ancor meno semplice diventare popolari, specie se ciò che fai e come sei si scontrano un po’ con i trend che piacciono agli algoritmi. I social possono diventare luoghi di community nei quali trovare ispirazioni facendo attenzione a non venirne risucchiati. Come non bisogna credere che il numero di like e il numero di followers siano il metro di misura delle capacità e del talento di ogni artista».
Una curiosità prima di salutarci.
«Porto con me il mio pseudonimo “Gabe” dai tempi del liceo quando ho appreso questo diminutivo da un gioco della PlayStation: Syphon Filter II. Il protagonista del gioco sparatutto/stealth è Gabriel Logan, ma viene chiamato da tutti Gabe, in quei tempi mi ero avvicinato ai graffiti e, trovando “Gabe” un ottimo street name, ho deciso di adottarlo. Chi ha vissuto i primi anni di internet, quando i “social” erano solo chat e forum, ricorda benissimo la necessità di trovare un nickname da usare per i vari siti web, allora cominciai ad accostare altre parole al mio pseudonimo fino a che non sono arrivato all’attuale SkullaGabe. In quel periodo disegnavo con inchiostro su carta, principalmente radiografie di esseri viventi che si possono ancora vedere scrollando il mio profilo instagram un po’ indietro nel tempo. Il prefisso “skull”, teschio, era coerente con le immagini che disegnavo e messo insieme ad una “a” prima di “Gabe” suonava bene. Oggi non disegno più solo teschi ma mi diverto a firmare le mie opere nascondendoli in dettagli inseriti armonicamente nel contesto».
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