Federica Altomonte, giovanissima artista, attualmente in esposizione fino al 13 giugno al Ğené con la sua personale “Linea Matrice”. Abbiamo avuto il piacere di intervistarla e ci ha raccontato la sua idea di arte e la ricerca artistica che l’ha portata fino a qui.
Ciao Federica, raccontaci un po’ chi sei.
«Mi chiamo Federica Altomonte e sono una giovane artista emiliana. L’arte è da sempre stata una parte fondamentale del mio percorso: alla base di esso. Ho frequentato il liceo artistico Adolfo Venturi nella bellissima città di Modena, dove ho avuto modo di partecipare a tantissime attività artistiche, tra cui un laboratorio teatrale che ancora oggi mi dà la possibilità di salire sul palco, parlare e condividere con lo spettatore. Parallela alla strada dell’arte, percorro il mondo della cucina, in particolare sono pasticciera, specializzata nell’arte bianca e sto studiando per diventare sommelier. Sono una persona piena di idee e creatività: amo creare progetti nuovi sulla base del contesto in cui mi trovo, inoltre cerco di non essere mai sola in questo, in quanto, per me, la condivisione con le persone è fondamentale per creare qualcosa di unico e sentito».
Quando o come hai capito che l’arte sarebbe entrata nella tua vita e sarebbe stata la tua strada.
«Da quando ho memoria l’arte è sempre stata la mia compagna di vita: dal primo pennarello usato per imbrattare il muro di casa in età infantile, al momento di crisi che ho avuto per decidere chi ”diventare da grande”, lei era lì, a volte a prendermi per mano e a volte a buttarmi per terra. Il mio rapporto con lei è sempre stato costante, ma come la mia cara linea, pieno di curve e salite, momenti spezzati e momenti di piena gioia. Lei comunque, come me, era protagonista del mio divenire, parte integrante del mio stesso essere e del mio modo di pensare. Ho deciso che sarebbe stato il mio percorso perché nell’arte ci vedo della purezza, dell’emozione vera e in un mondo pieno di banalità avevo bisogno di una strada sincera: non l’opera della provocazione, non l’opera della polemica sociale, non l’opera del senso di colpa, ma l’arte della bellezza, dell’emozione, dell’espressione umana. Questa è la mia via: una linea infinita, di colori e forme, di emozioni e persone».
Pittura e disegno sono le tecniche che utilizzi principalmente, come è cambiato il tuo stile, la tua ricerca artistica da quando hai iniziato e come ci sei arrivata.
«La mia formazione di base proviene da un liceo artistico, perciò inizialmente adoperavo l’arte realista del ritratto e del paesaggio. Successivamente, grazie alla poesia, un’altra mia grandissima passione, ho iniziato a cercare un messaggio più concettuale e immediato: che potesse colpire senza troppi segni, che avesse un senso compiuto in pochi tratti e che avesse una struttura ritmata. Ho cercato di sintetizzare il mio lavoro e poi ho trovato lei, “la linea”: lo strumento più utilizzato in tutte le sue forme nell’arte visiva. Ho iniziato a ricercare la linea nel lavoro di diversi artisti del passato: nell’arte di Klimt ho trovato linee sinuose e morbide, nelle opere di Schiele linee tagliate e rigide. Così ho iniziato a giocare con lei: l’ho fatta saltare e girare in vortici morbidi che andavano a costruire figure umane sensuali e in carne; l’ho resa tesa e spezzata per generare corpi affranti e statici. Così da volti realistici e pieni di dettagli, sono tornata a contornare le figure, a dargli linee diverse sulla base della loro emozione, ho fatto un salto nel passato: dove quando da bambina disegnavi un ricciolo e lì in mezzo ci vedevi il mondo intero. Successivamente alla linea pura e nera, ho cominciato ad abbinare una delle tecniche che più amo per la sua versatilità e la sua semplicità: l’acquerello. Sono così appassionata a questo metodo pittorico che normalmente diluisco anche olio e acrilico, per ottenere lo stesso risultato. L’acquerello è vitale: ha un’anima proprio, padroneggiato dall’acqua ha una sua volontà. Puoi guidarlo, ma non governarlo e questo, per me, lo rende il mezzo perfetto per rappresentare la libertà dell’arte. Siamo in tre a creare un’opera: io, la linea e l’acqua, ognuno con le sue volontà, ognuno con il proprio essere».
Al Ğené c’è la tua personale “Linea Matrice”, raccontaci come è nata l’idea della mostra, il suo messaggio e le opere che sono esposte.
«“Linea matrice” è nata dalla volontà di creare uno spazio dove la linea potesse correre e trasformarsi: in questo caso essa diventa matrice, ovvero creatrice e si trova alla base di tutto il mio percorso artistico. Nella serata di inaugurazione avvenuta il 13 maggio è stato portato un messaggio molto importante: “l’arte come stimolo sensoriale e sinestetico”. L’inaugurazione infatti mirava ad unire diverse forme d’arte e dava inizio al percorso emotivo che sta alla base delle opere in esposizione. Le linee analizzate durante l’evento e che si trovano all’interno degli elaborati sono tre: linea vibrante, linea tagliente, linea morbida. Gli spettatori sono stati guidati alla ricerca di questi concetti da una storia, scritta da me per l’occasione, di una bambina che vede sua mamma cucire e si immagina che il filo balli e danzi, che si irrigidisca e che muoia e dall’abbraccio finale della madre che diventa padrona e creatrice, trova pace e si fa coccolare. Per stimolare i 5 sensi, alla ricerca di queste tre sensazioni, sono state presentate diverse forme d’arte: per il visivo e il tattile l’arte pittorica delle opere in esposizione; per il visivo, il gusto e l’olfatto la degustazione di tre vini con pietanze abbinate in linea con le tre linee (vibrante, tagliente, morbida) e per l’uditivo la meravigliosa voce di Carlotta Alessio, cantautrice, mia collega e amica. L’obiettivo, appunto, era quello di creare una serata piena di emozioni, dove tutto avesse senso e il pubblico fosse stuzzicato in tutti i suoi sensi. Le opere esposte sono 17: tra esse vi sono 6 disegni in piccolo formato rappresentati fiori e vegetazione, sono opere “decorative” semplici e dall’immediata interpretazione. Sono presenti 4 opere in formato A3 su carta, in questo caso la tecnica dell’acquerello ha fatto spazio al pastello a olio, per rappresentare delle figure umane più statiche. Troviamo anche un’opera interattiva formata da un pannello di legno, dove sono stati inseriti diversi chiodi sul quale l’osservatore può creare la propria linea con un filo di cotone bianco. Infine parliamo delle 3 opere su tela: ognuna si porta dietro una linea diversa.
La “linea vibrante” è rappresentata dall’elaborato che mostra una donna intenta a bere un caffè: la figura è ferma con lo sguardo spento, ma il telo che la copre e che mostra un seno è frenetico e dinamico, i capelli che la contornano sembrano che ballino la Taranta, la linea è impazzita e quì, l’acquerello aiuta il segno a trovare la propria libertà di movimento. La “linea tagliente” è rappresentata dall’opera che raffigura il mezzo busto di un uomo: in questo caso il messaggio è diretto, il petto dell’uomo è rigido, fermo, quasi scultoreo, la linea è dinamica, ma sembra che crei delle ferite sulla carne, è quasi violenta, una lama affilata. Dall’opera tende un filo che si collega a una vestaglia appesa accanto: il capo presenta su di esso disegni geometrici che vanno a riprendere il concetto di regolarità e spigolosità, ma che al contempo vanno ad ammorbidire la figura, rendendola più intima e famigliare. In questo caso la tecnica vede l’utilizzo di un filo esterno attaccato alla superficie e inserito in maniera materica all’interno della figura. L’acrilico utilizzato è poco diluito e risulta più netto e persistente. L’ultima linea in esposizione è la “linea morbida” e la troviamo nell’opera che raffigura una donna piegata, che si tende verso il proprio piede. In questo caso la figura umana è contornata del tutto da una linea morbida ed elastica che sembra contorcersi come una molla. Per quanto la posizione sia scomoda e faticosa, la linea ammorbidisce la figura e la sua azione. Accanto all’opera vi è lo schizzo iniziale in formato A5. Le tecniche utilizzate sono pastello a olio morbido e materico e Brush pen per le linee sinuose ed elastiche».
Se tra le opere esposte ce n’è qualcuna a cui sei più legata.
«Fra le opere in esposizione ci sono in particolare 3 elaborati che sono alla base del mio concetto artistico, sono le prime opere dove la linea si è resa viva e da lì non ho più smesso di usarla. Sto parlando di una serie di tre disegni in piccolo formato che rappresentano una donna in tre posizioni diverse. Nascono da un vecchio studio del corpo umano fatto ai tempi del liceo durante una lezione di disegno dal vero. Mi ricordo che il nostro compito era quello di riprodurre in maniera realistica le forme della modella per poi potersi sbizzarrire con il proprio stile, ancora prematuro, e creare una nuova visione della figura umana.
Lì è nata la mia linea, si è impadronita della mia mano e da sola si è andata a contorcere e girare creando un volto, un seno, una mano: una donna seduta, una donna di spalle e una donna frontale. Da quel momento quelle tre piccole opere sono diventate concime per la mia produzione e ancora oggi le ritengo le più spontanee, le più vere».
Qual è la tua sensazione e quali le tue considerazioni da artista sulla possibilità di esporre in uno Spazio Polifunzionale come il Ğené, quindi fuori dai soliti schemi se pensiamo alle gallerie d’arte.
«Il Ğené, nell’ultimo anno, è diventata la mia seconda casa: da cliente fissa, sono diventata una collega e infine parte di questa bellissima famiglia. Il locale è il mio luogo ideale di esposizione: è uno spazio aperto, dove si può avere a pieno la possibilità di essere se stessi e di portare il proprio messaggio. Sono molto critica nei confronti delle gallerie d’arte tradizionali, non ho mai voluto esporre in una di esse per le circostanze elitarie che si vanno a creare e per il poco spazio che c’è nei confronti dei giovani artisti. Ho sempre desiderato trovare un posto dove l’arte fosse apprezzata per quello che è, senza intermezzi e senza interpretazioni assurde, senza l’aiuto di un gallerista che ha più interesse per il guadagno personale che per il messaggio che l’artista offre al pubblico: il Ğené rappresenta questo desiderio, ho trovato persone pronte ad accogliermi che concepiscono l’arte come la più grande forma di libertà. Penso che il sistema artistico sia in piena crisi, ci sono sempre più sezionamenti e meno spazi dove i giovani possano trovare la propria voce, per questo è stato fondamentale per me trovare persone come Elisabetta Alessio, una delle responsabili del locale, che hanno creduto nella mia mano e nella mia testa e che ancor di più ha condiviso con me ed è diventata parte integrante della mia produzione. Vorrei trasmettere questo bellissimo concetto che è nato grazie a questa splendida collaborazione: con l’arte ci si può giocare, l’arte è viva, diamole spazio, non la inseriamo in una categoria chiusa e per pochi. L’arte è di tutti».
Qual è il tuo sogno artistico o cosa ti auguri per il futuro.
«Il mio sogno da artista è quello di creare l’arte di condivisione: una realtà, un luogo fisico, dove le persone possano esprimersi e gli artisti possano condividere. Creare uno spazio dove diverse forme d’arte possano essere utilizzate e tutti i sensi possano essere stuzzicati. Mi auguro di non mettere mai la mano in tasca, ma di continuare a tener saldo quel pennello che mi ha portato dove mi trovo oggi, a 21 anni, a sognare un mondo dove l’arte in tutte le sue meravigliose forme sia la protagonista, che ci dica come amare e come esprimerci. Mi ripeto, in un mondo pieno di banalità vorrei che l’arte fosse la nostra guida, la nostra insegnante».
Un tuo pensiero prima di lasciarci.
«Definisco l’arte la più grande forma di spiritualità, per il potere che ha nel sedurre e nell’insegnare, la capacità che ha nel portarti verso l’alto, in un viaggio che ha del trascendente e ignoto, ma allo stesso tempo ha questa meravigliosa capacità di parlarti dell’umano, in quanto mezzo tra il sacro e il profano: l’arte è la mente, l’uomo è la mano».
Link dell’artista
Scopri il video che le abbiamo dedicato