Fabio Samela è un fotografo che usa l’autoritratto (a volte ironico) per portare all’attenzione temi importanti, spesso difficili ma che meritano ascolto.
Breve presentazione.
«Salve a tutti, sono Fabio Samela, in arte Fab(b)io e sono un fotografo autoritrattista di 18 anni, nato e cresciuto in un piccolo paese della Basilicata che ha usato la sua immagine e la sua scrittura per poter dar voce a quello che da dentro aveva bisogno di uscire fuori».
Tu sei l’attore nelle tue fotografie, come mai questa scelta.
«Perché oltre ad essere la persona col quale passo più tempo e oltre a essere reperibile 24/7 ogni volta che ho una nuova immagine in testa, credo che far “raccontare” le mie vicende o emozioni a un altro soggetto mi riuscirebbe più difficile e non credo riuscirei a trasmettere davvero quello che provo nel momento in cui ho bisogno di esorcizzare quel frammento di vita in un’immagine consultabile anche col passare del tempo e degli anni».
Grazie allo stile ironico tu riesci a raccontare di temi molto profondi.
«Sì, spesso sono molto ironico in quello che scrivo, ma so essere anche serio quando serve, ma principalmente se uso delle battute o se ricreo alcune situazioni a mo’ di parodia lo faccio solo per non rendere troppo pesante la lettura e l’immagine. Un po’ di satira non guasta mai se fatta bene, e sono sicuro che “alleggerendo” alcune cose rimarranno più impresse nella mente».
Come nascono le tue immagini.
«Dipende, a volte o meglio la maggior parte delle volte ho già una frase in mente che magari mi riconduce a un determinato evento e quindi insieme ad essa la sviluppo poi in un’immagine dove inserirla. Mentre altre volte dall’idea di una foto deriva successivamente la frase a cui abbinarla».
Qual è il tuo sogno artistico.
«Credo che il mio più grande sogno, se così vogliamo definirlo, sia quello di riuscire a oltrepassare emotivamente tutto ciò di cui parlo e scrivo, vorrei diventare il mio modello d’ispirazione con quello che faccio, e chissà magari diventare un’ispirazione anche per qualcun altro. Insomma, guardarmi ed essere guardato con occhi diversi e non con sguardi di giudizio».
Stai lavorando a qualche progetto in particolare o vorresti realizzare?
«Più che progetto, punto ad ampliare il mio progetto fotografico “Fab(b) to be”, che raccoglie foto e video rappresentativi della comunità LGBTQ+ e della costruzione del “maschilismo tossico”. Ho avuto la fortuna e la possibilità di mostrare questa raccolta sia in una mostra collettiva al Gender Project di Milano che in una mostra personale a Roma. La raccolta è in continuo sviluppo, non credo avrà mai una fine, nel frattempo la guarderò crescere e chissà la vedrò ancora sulle pareti di altre mostre o magari chissà anche sulla carta stampata».
Una curiosità prima di lasciarci.
«Se può essere considerata una curiosità, posso affermare che tutte le mie idee nascono sicuramente dal mio non riuscirmi ad addormentarmi la notte oppure dalle lunghe passeggiate con le cuffie nelle orecchie. Ma una cosa è certa, tutte partono dalle delusioni e dal dolore arretrato che non ancora “smaltito” bene del tutto».
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